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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2014 alle ore 11:49.
L'ultima modifica è del 21 ottobre 2014 alle ore 13:35.

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Una maxi-evasione del fisco, dell'ordine di 1,7 miliardi di euro, grazie a un giro di false fatturazioni da parte di società cooperative che poi sparivano per far posto ad altre e perpetuare il giro; denaro che veniva illecitamente distratto e veicolato, da parte dei responsabili delle organizzazioni, su conti correnti intestati a società fiduciarie di San Marino e del Lussemburgo, per il successivo reimpiego nel settore immobiliare; una sorta di contabilità riservata e parallela riguardante somme erogate ad appartenenti a pubbliche amministrazioni per finalità illecite in corso di accertamento.

È quanto scoperto dalla Guardia di Finanza di Roma attraverso le indagini, durate oltre due anni, condotte dal Nucleo speciale polizia valutaria e che questa mattina si è tradotto in una operazione che ha portato a decine di perquisizioni e a numerosi sequestri di beni immobili. Sono 62 le persone indagate. A capo dell'organizzazione vi sarebbero gli imprenditori romani Pierino Tulli e Maurizio Ladaga.

Sono in corso - nelle regioni Lazio, Lombardia, Piemonte, Veneto e Sardegna - perquisizioni e sequestri preventivi di beni per centinaia di milioni di euro (immobili, aziende e rapporti finanziari) nei confronti di 62 soggetti indagati. Utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, bancarotta fraudolenta e riciclaggio alcuni dei reati contestati.

Le organizzazioni individuate risultavano specializzate nella sistematica evasione della riscossione di debiti tributari, mediante l'utilizzo di circa 250 società consortili e cooperative, riconducibili al gruppo Gesconet, operanti nei settori del trasporto, facchinaggio, pulizie e vigilanza privata. L'attività illecita ha provocato, nel corso degli anni, un danno allo Stato pari al debito erariale già iscritto a ruolo, che ammonta complessivamente a oltre 1,7 miliardi di euro.

Il meccanismo fraudolento utilizzato dal 2001 alla data odierna consisteva generalmente nell'affidamento di servizi in subappalto a società cooperative appositamente costituite, da parte delle società consortili amministrate dagli indagati, che si aggiudicavano gli appalti sia da enti pubblici, sia da società private di rilevanza nazionale. Le società cooperative, a loro volta, mediante l'emissione di fatture per operazioni inesistenti - accertate dalle Fiamme gialle per circa 400 milioni di euro - accreditavano il denaro ricevuto ad ulteriori cooperative cosiddette “finali”, i cui conti venivano progressivamente svuotati mediante prelevamenti in contante, non giustificati da alcuna logica commerciale. Tale denaro veniva poi illecitamente distratto e veicolato, da parte dei responsabili delle organizzazioni, su conti correnti intestati a società fiduciarie di San Marino e del Lussemburgo, per il successivo reimpiego nel settore immobiliare. Le cooperative “finali”, venivano quindi poste in liquidazione e sostituite da ulteriori società neocostituite, che ciclicamente subivano il medesimo iter di svuotamento ed abbandono.

Questo sistema ha permesso ai capi dell'organizzazione - gli imprenditori romani Pierino Tulli e Maurizio Ladaga - di appropriarsi illecitamente, per circa 160 milioni di euro, del denaro distratto che, invece, sarebbe dovuto finire nelle casse dello Stato in ragione delle imposte dovute dalle imprese ad essi riconducibili.

Le investigazioni svolte dal Nucleo speciale di polizia valutaria, infine, hanno permesso di scoprire anche una sorta di contabilità riservata e parallela riguardante somme erogate ad appartenenti a pubbliche amministrazioni per finalità illecite in corso di accertamento. In particolare le erogazioni riguardano gli anni compresi tra il 2010 e il 2012 e la loro provvista deriva dalle riserve occulte costituite mediante la distrazione di denaro delle cooperative.

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