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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2014 alle ore 07:40.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 16:01.

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Con la cultura non solo si mangia, ma si crea ricchezza reale fatta di posti di lavoro e tante imprese. A smentire ancora una volta il ruolo da Cenerentola per questo settore è l'ultimo rapporto targato fondazione Symbola e Unioncamere sull'industria della cultura che non solo non è affondata sotto i colpi della crisi, ma è diventata uno dei pilastri del made in Italy volando nell'export. Negli anni più difficili per la nostra economia le esportazioni sono cresciute del 35% – da 30,7 miliardi nel 2009 a 41,6 nel 2013 – e oggi segnano un surplus commerciale con l'estero di 25,7 miliardi, secondo solo alla filiera meccanica, e ben superiore a quella metallurgica.

Secondo il rapporto presentato ieri a Roma, la nostra filiera culturale ha generato l'anno scorso 80 miliardi di ricchezza, in pratica il 5,7% del Pil (se si considera anche pubblico e no-profit). Ma poi è riuscita a mobilitare – grazie ad un effetto moltiplicatore di 1,67 (per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,67 in altri settori) – altri 134 miliardi aggiuntivi in altri comparti (come il turismo), arrivando quindi alla soglia di 214 miliardi, in pratica il 15,3% del nostro Pil. A muovere questo motore che eredita il meglio del nostro passato e rappresenta «la speranza per il nostro futuro», secondo le parole del ministro della Cultura Dario Franceschini, è una galassia fatta di 443.458 aziende (-0,8% rispetto al 2011), il 7,3% del nostro tessuto produttivo. Imprese attive nell'industria creativa (dall'architettura al design), in quella culturale (film, musica, libri e stampa), nei musei, nell'intrattenimento e nei convegni. E che danno lavoro a 1,4 milioni di persone, il 5,8% dell'occupazione italiana (il 6,2% includendo settore pubblico e non profit). Con Firenze che conquista la posizione di "capitale dell'industria culturale" del Paese visto che l'11,8% di tutte le sue aziende sono del settore. Seguono Milano (10,9%); Monza-Brianza (10,3%); Arezzo (10,1%); Como (10%) e Roma (9,7%). Ma è comunque la provincia aretina a sorpresa a registrare la maggior incidenza in Pil e occupazione.

La cultura resta poi anche in tempi di crisi un buon attrattore di sponsorizzazioni: 159 milioni tra il 2012 e il 2013 (+6,3%). Una buona performance, che potrebbe migliorare ancora con l'apporto di mecenati, accolti a braccia aperte da Franceschini: «Ben vengano gli investimenti privati compresi quelli stranieri», ha spiegato il ministro che ha ricordato il recente decreto "Art Bonus" con il quale il governo ha «rotto uno dei tabù italiani», quello dell'alleanza pubblico-privato. Gli sgravi fiscali previsti dal decreto - un credito d'imposta del 65% sulle donazioni – «tagliano ogni alibi», secondo il ministro che giovedì sarà presente alla terza edizione degli Stati generali della cultura, promossi dal Sole 24 Ore in collaborazione con Fondazione Roma. L'incontro, a Roma presso l'Auditorium Conciliazione, sarà un'occasione per discutere su come rendere efficace questo strumento e precederà un altro appuntamento, il 9 luglio al ministero, a cui Franceschini inviterà non solo gli addetti ai lavori, «ma anche altre organizzazioni, da Confindustria in poi, per spiegare perché questo settore è centrale». «Mi sembra evidente che con la cultura si mangia, si cresce, si occupa», ha aggiunto il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello. Che lancia però un allarme, dopo il decreto sulla Pa di venerdì scorso che dimezza per le camere di commercio gli introiti derivanti dai diritti camerali: «Oggi investiamo più di 50 milioni nella cultura sostenendo teatri e importanti festival, con questo taglio alle risorse non credo che sarà più possibile farlo».

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