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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2014 alle ore 08:17.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:55.

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BERNA - Metabolizzate le parole del ministro Saccomanni, il pragmatismo elvetico impone di prendere atto e andare avanti. Giovedì, all'apertura del Forum per il dialogo tra Italia e Svizzera, Saccomanni aveva fissato le condizioni minime per la trattativa fiscale: niente sconti nè perdonismo, punto di partenza e diriferimento resta il Dl sulla voluntary disclosure entrato in vigore proprio durante la visita del ministro. Cosi' dopo aver masticato amaro, la delegazione svizzera di esponenti del mondo finanziario, imprenditoriale e professionale rilancia nel campo italiano le proposte per «migliorare» la riuscita dell'operazione voluntary «made in Italy and Swiss powered», come vuole uno slogan coniato per l'occasione.

Del resto, il vero beneficiario dell'accordo fiscale – che Saccomanni nonostante le difficoltà auspica concluso prima della visita di fine maggio del presidente Giorgio Napolitano – oggi è più che mai la Svizzera stessa, che in quanto "paradiso fiscale" sconta la lista nera nei rapporti commerciali, tra gli altri, con l'Italia. E allora la questione, da questa parte del confine, diventa "che fare" per meritare l'uscita immediata dalla black list.
Uno scambio di informazioni fiscali "a gruppi" o "a chiamata", in sostanza ottenendo il salvataggio in corner del totem del segreto bancario/privacy del correntista italiano? Quello che poteva andar bene fino a un paio d'anni fa – e su cui si basano i 40 accordi in vigore con Berna, ma che l'Italia non ha mai sottoscritto – oggi non basta più: alla porta c'è la scadenza del 2016, con l'inevitabile approdo nello scambio automatico di file tra agenzie fiscali.

Se Saccomanni l'avrà vinta, la Svizzera chiederà un regime transitorio per l'adeguamento ma, soprattutto, contratterà l'uscita immediata dalla lista di proscrizione commerciale.
Intanto il tema della voluntary discolosure, così come disegnata dal Dl 4/2014, continua a suscitare perplessità e malcelata avversità nel mondo bancario e finanziario, soprattutto in quello ticinese. La questione non è solo di organizzazione interna – Ubs, per esempio, ha dovuto assumere 200 impiegati per gestire le 20.000 posizioni dei tedeschi che hanno aderito lo scorso anno al programma di voluntary disclosure di Berlino – ma più che altro di gestione da parte dell'agenzia fiscale italiana. Quanto personale e quanto tempo servirà alle Entrate e all'Ucifi per smistare una mole potenzialmente enorme di dati, mole di fronte a cui gli stessi Usa hanno dovuto ritardare (a luglio prossimo) l'entrata in vigore del Fatca con la Svizzera?

Ecco allora spuntare una proposta per la forfetizzazione delle imposte sulla voluntary (che però il ministero dell'Economia ha già accantonato anche per piccoli capitali) che viaggia insieme al suggerimento di limitare a cinque anni il periodo accertabile (quello su cui si abbatte, oltre a sanzioni e interessi, anche il 44% secco di Irpef). Sul periodo precedente i gestori patrimoniali a nord di Como propongono di ripristinare una parte dei mai nati accordi Rubik, quella cioè che vede gli intermediari svizzeri operare come sostituti di imposta per il versamento delle aliquote (prima 12,5%, oggi 20%) sui rendimenti.

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