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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2014 alle ore 12:55.
L'ultima modifica è del 14 novembre 2014 alle ore 12:57.

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Il califfo Abu Bakr al-Baghagdi (Afp)Il califfo Abu Bakr al-Baghagdi (Afp)

Per avere uno Stato che si rispetti occorrono, tra le altre cose, dei confini, un'amministrazione possibilmente funzionante, delle istituzioni, forze dell'ordine, ma anche una moneta nazionale.

Nel visionario disegno del califfo Abu Bakr al-Baghagdi non poteva dunque mancare un valuta locale. Perché dopo aver conquistato un territorio esteso quanto il Regno Unito nelle piane aride tra la Siria nordorientale l'Iraq nordoccidentale, dopo aver creato un embrione di Stato, per quanto tirannico, ed essersi assicurato le risorse per farlo andare avanti – in primo luogo i pozzi di petrolio e le raffinerie - i jihadisti dell'Isis hanno annunciato il passo finale: la creazione della moneta dello Stato Islamico.

Si chiameranno dinari e verranno coniate in oro, argento e rame . Agli occhi della leadership dell'Isis la ragione è semplice: rimpiazzare “il sistema monetario tirannico imposto ai musulmani e che ha portato alla loro oppressione”, vale a dire il dollaro statunitense. Le raffigurazioni sulle monete non potevano che far richiamo a simboli islamici o comunque di conquista: la moneta in oro da cinque dinari mostra una cartina geografica del mondo, mentre quella in argento da 10 dirham mostra la moschea di al-Aqsa.

Ed ecco i diversi tagli, o meglio le diverse monete. La più prestigiosa, inarrivabile per la grande maggioranza della povera popolazione locale, è la moneta d'oro denominata 5 dinari. Calcolando il peso – 21,25 grammi di oro da 21 carati – il suo valore sarebbe di 694 dollari. La moneta di minor valore sarà quella composta da 10 grammi di rame, valutata circa 7 centesimi di dollaro. I diversi Diram in argento varieranno da 45 centesimi fino ai 4 dollari.

Il califfo al-Baghdadi è stato scaltro. Sin dall'inizio aveva compreso che, per durare nel tempo, lo Stato islamico non doveva limitarsi alle solo conquiste militari. È stato dunque capace di costruire, seppur ricorrendo a metodi estremamente brutali, un embrione di Stato. E farlo in meno di un anno. Dove prima la guerra aveva distrutto ogni cosa, dove l'anarchia aveva soppiantato le istituzioni, il Califfato islamico si è insinuato in ogni aspetto della vita quotidiana. L'economia, la società, la religione e la cultura, nulla sfugge al controllo degli amministratori del califfo al-Baghdadi. Nessun Paese dubita che l'Isis sia un gruppo terroristico, ma gli va anche riconosciuto di essere stato disciplinato, organizzato, capace in diversi casi di un pragmatismo inusuale per i suoi concorrenti jihadisti.

Per far funzionare uno Stato con milioni di abitanti, di contante ne occorre però parecchio. L'Isis possiede davvero così tanto oro, argento e rame per mantenere in vita la sua moneta?
“Il potere d'acquisto di questo denaro sarà totalmente dipendente dal potere d'acquisto dell'oro, dell'argento e del rame - ha precisato al Financial Times Steven H. Hanke, professore di economia applicata all'Università Johns Hopkins - ma dove reperiranno tutto questo oro e rame? L'Isis dovrà confiscare altre proprietà e farlo con i furti o bottini di guerra”.

Resta comunque un interrogativo aperto. Perché coniare solo monete, e in buona parte di metallo pregiato, quando si potevano stampare le più accessibili banconote? Lo stesso Isis scioglie i dubbi. E lo fa ricorrendo alla solita radicale e oscurantista versione dell'Islam: rispecchia il desiderio di avvicinarsi al vero Islam, quando “le monete vennero fabbricate, solo in oro e argento”. Poco conta che a quei tempi le zecche none esistessero. Ancora meno che nessun Paese, e nessun organismo al mondo, riconosca il Califfato come Stato sovrano.

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