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Questo articolo è stato pubblicato il 15 febbraio 2012 alle ore 22:44.

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Togliamo il fido
La mia è un'azienda metalmeccanica della provincia di Brescia. Una mattina mi chiama una banca e mi dice: "devi venire a firmare perchè il tasso concesso è salito". Ma come? Quello già concordato? Vado in banca e chiedo: se non firmo? "Ah se non firma le togliamo il fido". È così che si ragiona, con la pistola alla tempia. Ma non basta: siamo incappati anni fa nei derivati, grazie al funzionario della nostra banca di riferimento che ci ha presentato lo strumento come una difesa indispensabile per contrastare i tassi in aumento. Questa difesa non è servita a nulla e ci è invece costata 60mila euro, che abbiamo finito di pagare a rate il mese scorso. Così va il mondo.
Lettera firmata

La parola fido rimanda a "fiducia". Tra chi presta e chi riceve il prestito la fiducia è essenziale. Ma deve valere nei due sensi: la fiducia è tradita se i derivati non sono veri strumenti di "copertura" ma asset tossici ceduti con malizia.

La start up inascoltata
Sono il titolare di una startup di Brescia (costituita nel maggio 2011) che si occupa di sviluppo software per l'industria della pressocolata. Siamo sei soci di cui un professore dell'Università di Brescia, una società spin-off della stessa Università, un ex-Ceo di un'azienda di software da 50 milioni di euro e un grosso stampista per la pressocolata. Il nostro obbiettivo (quasi raggiunto) è di sviluppare il primo software italiano del settore, che è un settore in cui l'Italia eccelle sia per produzione (seconda in Europa dopo la Germania) sia per esportazioni di macchine e tecnologia (prima al mondo).
Consapevoli che non avremmo avuto alcuna linea di fido da parte delle banche, ci siamo presentati a un primario istituto nel giugno del 2011, forti di due fideiussioni bancarie (dunque avrebbero pagato altre banche) rilasciate sulla base del top rating del nostro socio stampista (che fattura 40 milioni di euro e ha linee di credito per circa 3 milioni). La richiesta era quella di un finanziamento di 80mila euro per coprire i nostri costi di sviluppo dovuti al time-to-market del software che può essere abbastanza lungo. Nonostante le fidejussioni, le reiterate promesse del direttore della filiale, le decine di variazioni sul testo della fidejussione che le banche si scambiavano, alla fine – a fine novembre, dopo quasi sei mesi!- ci hanno detto "no, in questo momento le banche non si prestano più denaro tra di loro e dunque anche una fidejussione rientra in questa categoria".
Tommaso Botter - Brescia
Torna il tema della "fiducia". Ma se le banche non si fidano tra loro e bloccano gran parte della loro liquidità nei forzieri della Bce, perchè dovrebbe fidarsi il correntista? Forse un segnale più forte sul mercato interbancario aiuterebbe.

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