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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2014 alle ore 13:11.

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È un nemico scaltro, resistente, capace di rinnovarsi. Anche questa volta è probabile che Hamas esca molto indebolita dal confronto militare con Israele, ma è altrettanto probabile che riesca a sopravvivere. E col tempo a ricostruire, come già accaduto, il suo pericoloso arsenale.

Acronimo di Arakat al-Muqawamah al-Islamiyyah (movimento di resistenza islamica), Hamas fu fondato nel 1987, poco dopo lo scoppio della prima Intifada (1987-1993).Movimento ispirato e formato dai fratelli musulmani dell'Egitto in funzione anti-israeliana, il suo Statuto non lasciava spazio al negoziato. L'obiettivo finale era la cancellazione dello Stato di Israele e la sua sostituzione con un Stato islamico palestinese dal fiume Giordano al Mare Mediterraneo. La stessa Carta dichiara tutt'oggi che «non esiste soluzione alla questione palestinese se non nel jihad».

La scalata al potere è stata tuttavia lenta e graduale. In principio i suoi vertici comprendono che la migliore via per guadagnare i consensi a Gaza è l'attività sul fronte sociale. Una sorta di "welfare islamico", fatto di cliniche, assistenza medica gratuita, scuole, istituti di carità. Hamas si guadagna sul campo la reputazione di organizzazione onesta e disciplinata. D'altronde molti dei suoi futuri leader vivono nei campi profughi.

Una perfetta antitesi alla corruzione che dilaga all'interno di Fatah, il partito guidato da Yasser Arafat, che comunque è più aperta al negoziato. I motivi di attrito tra le due anime della resistenza palestinese erano già molti. Ma è nel 1993, quando Arafat stringe la mano al premier israeliano Yitzhak Rabin, sigillando gli accordi di Oslo, che il divorzio diviene definitivo. Nell'aprile 1994 Hamas dà il via alla strategia degli attacchi kamikaze. Si accorge di avere un veto sul processo di pace. Intensifica gli attacchi. In soli sette giorni, tra marzo e febbraio del 1996, due attentati suicidi uccidono a Gerusalemme quasi 60 israeliani. Deraglia il processo di pace. Il fallimento dei negoziati di Camp David, nel luglio del 2000, accende le polveri della Seconda Intifada. Si apre la stagione più violenta degli attentati kamikaze. In cinque anni Hamas ne rivendica 60. Le rappresaglie israeliane demoliscono le infrastrutture dell'Autorità nazionale palestinese (Anp). Nel 2004, con precisione chirurgica l'esercito israeliano elimina il leader di Hamas, lo sceicco Yassin, e poche settimane dopo il suo successore, Abdel Aziz El-Rantisi.

Con la morte di Arafat, nel novembre 2004, il movimento islamico decide che è arrivato il momento di partecipare al processo elettorale. Alle municipali del 2005 guadagna molti consensi, anche in Cisgiordania nelle roccaforte di Fatah. La svolta, però, arriva nel gennaio del 2006, quando, in un'elezione non macchiata da frodi, Hamas si ritrova davanti a una vittoria elettorale tanto marcata quanto inattesa. Ottiene 74 dei 132 seggi del Parlamento. Fatah si deve accontentare solo di 45 seggi. Non abituata a governare, Hamas cerca di coinvolgere Fatah e altre forze nell'Esecutivo. Ma dalla sua posizione di forza è intransigente nel dettare le sue condizioni e nel trattenere le poltrone chiave.

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