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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2013 alle ore 17:47.
L'ultima modifica è del 04 dicembre 2013 alle ore 18:36.

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Dopo le pesanti bocciature della agenzie di rating, Parigi resta sul banco degli imputati in Europa. Anzi, ormai passa per essere "il" problema. «Il paese che preoccupa veramente non è più l'Italia ma la Francia, a causa dei suoi grossi problemi strutturali». Parola del chief market strategist di Merrill Lynch, Johannes Jooste.

«In particolare - sostiene Jooste - appare difficile da migliorare il mercato del lavoro e anche il rapporto tra Pil e debito è peggiorato sensibilmente rispetto a pochi anni fa, quando era quasi alla pari con la Germania». Ergo, «i downgrade che la Francia ha subito sono giustificati». Conclusione tranchante, sulla quale Paul Krugman, per esempio, potrebbe avere qualcosa da dire.

Jooste, tuttavia, pensa di avere altre frecce al suo arco. Anche il rendimento dei bond francesi a dieci anni, ha detto tra l'altro presentando l'outlook 2014 della banca Usa, «non riflette fedelmente la reale situazione del paese, soprattutto se si pensa che i BTp italiani sulla medesima scadenza pagano sensibilmente di più, attorno al 4%». Secondo Stefano Guglielmetto, responsabile investimenti di Merrill per l'Italia, la penisola è ormai «il grande convalescente» del Vecchio Continente, alla luce delle misure varate sinora per fronteggiare la crisi.

Uno sguardo alla crescita globale
La crescita economica, prevedono ancora gli analisti della banca americana, migliorerà nel 2014 e sarà maggiormente sincronizzata fra le varie aree rispetto al 2013. In questo scenario le economie avanzate, in particolare gli Stati Uniti, faranno meglio rispetto a quelle emergenti grazie al maggiore supporto che continueranno a ricevere dalle rispettive banche centrali.

In Asia la Cina dovrebbe rimanere sulla cresta dell'onda: «La domanda dovrebbe spostarsi gradualmente verso i prodotti di consumo, dai beni di investimento ad alto utilizzo di materie prime».

Europa fanalino di coda, debole il mercato interno
In questo quadro «l'Europa rimane il fanalino di coda - ha aggiunto Jooste - pur esibendo una crescita positiva dopo la recessione del 2013». I paesi periferici europei, ha aggiunto il chief market strategist, hanno sperimentato dei miglioramenti nei conti con l'estero sia per la debolezza dei consumi interni che per la maggiore competitività delle esportazioni sulla scia della crescita globale più sostenuta.

In alcuni paesi come l'Irlanda, inoltre, vi è stato un forte aggiustamento dei salari reali che ha sostenuto la competitività, fronte su cui l'Italia e in misura solo lievemente minore la Francia, rimangono invece in forte difficoltà.

Il mercato del lavoro e la svalutazione interna
Va sottolineato, tuttavia, che il forte aggiustamento dei salari e la maggiore competitività corrispondono a una manovra di aggiustamento nota come svalutazione interna, molto in voga nell'Eurozona dell'austerity alla tedesca. Non essendo più possibile per i Paesi della moneta unica guadagnare competitività attraverso la svalutazione della moneta, sola alternativa è abbattere i salari.

È un processo avviato da tempo in Grecia, Portogallo e Spagna e ormai sta dando risultati anche in Italia. A ben vedere, però, sembra una cura tale da ammazzare il cavallo: l'impoverimento progressivo dei consumatori deprime la domanda interna e si trasferisce alle imprese, costrette a diminuire (guarda il grafico) in maniera vertiginosa la richiesta dei prestiti.

Un vero busillis, quindi, quello dell'Eurozona, alle prese con una stagnazione economica senza precedenti, Germania a parte, ma che secondo gli strateghi di Bruxelles dovrebbe guarire pretendendo di agire solo sul versante del costo del lavoro e del contenimento del debito.

Le resistenze di Francia e Italia
Si tratta di un percorso a senso unico, che finisce per pregiudicare le dinamiche di espansione economica e crescita ovunque tranne che nell'unico Paese che nei primi anni Duemila ha riformato il mercato del lavoro (alleggerendo i salari dei lavoratori meno qualificati a vantaggio di quelli specializzati e assunti prevalentemente in settori orientati all'export) sforando i limiti imposti da Maastricht, ovvero, proprio la Germania.

Francia e Italia si stanno sforzando di trovare soluzioni più equilibrate rispetto alle linee guida in stile Troika (Commissione Ue, Bce, Fondo monetario). Parigi ha respinto con decisione le tesi delle agenzie di rating e il presidente Hollande ha confermato che non devierà dalle scelte di sovvenzionamento pubblico dei livelli occupazionali.

Ma senza importanti e mirate operazioni di spending review (a cui il governo Letta sta lavorando, obbiettivo tagli per 32 miliardi) che vadano a incidere sul cosiddetto cuneo fiscale sarà molto difficile - dati gli alti livelli di debito e la bassa crescita - evitare una lunga e dolorosa fase di svalutazione interna e imponente disoccupazione strutturale.

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