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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2014 alle ore 10:59.
L'ultima modifica è del 29 ottobre 2014 alle ore 11:31.

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Ne era convinto, Archie Moore, uno dei più leggendari campioni della storia del pugilato: «Se metti un pugile più giovane e più potente contro uno troppo vecchio e meno potente il risultato può essere uno solo». In questo modo il grande Archie aveva sigillato il suo pronostico sull’incontro tra il campione del mondo dei pesi massimi, George Foreman, e un Muhammad Alì nella fase finale della carriera.

«Troppo vecchio», due parole che ad Alì erano andate di traverso. Ma che in quel 1974 rispecchiavano fedelmente l’opinione di quasi tutti gli esperti di boxe. Io, che ero solo un ragazzino e tifavo in modo spudorato per «il più grande», cercavo di nascondere la paura con la speranza: ma sotto sotto sapevo che per battere quella specie di paracarro che avanzava colpendo con pugni che sembravano mazze ferrate ci sarebbe voluto un miracolo.

Del resto la storia era chiara: Alì aveva perso contro Frazier, nel tentativo di riconquistare il titolo mondiale che gli era stato tolto a tavolino per aver rifiutato di andare a combattere in Vietnam, ed era pure stato messo al tappeto prima di cedere con un verdetto ai punti.

Foreman, invece, Frazier l’aveva distrutto. Un match a senso unico con sei atterramenti, l’ultimo dei quali dopo un montante sinistro che aveva letteralmente sollevato dal tappeto Smoking Joe, per farlo atterrare mezzo metro più a destra. Un massacro che aveva fruttato la corona al picchiatore puro più micidiale nella storia dei pesi massimi. Lo stesso Alì aveva spiegato che la caratteristica principale di Foreman era il «pugno ovunque», battezzato in questo modo perchè ovunque ti colpisse faceva male, tanto male.

Eppure in molti continuavano a dire a Foreman che fino a quando non avesse battuto sul ring Muhammad Alì non sarebbe stato davvero l’indiscusso campione del mondo. L’incontro, voluto da tutti e capace di spostare cifre inimmaginabili per i modesti campioni del nostro tempo, venne fissato a Kinshasa, nello Zaire, con l’allora presidente Mobutu Sese Seko promotore principale dell’iniziativa.

Non era solo un incontro di pugilato, ma lo scontro tra un nero “nero”, come Muhammad Alì (che aveva sempre affermato la sua distanza e indipendenza dai bianchi) e un nero “bianco”, come veniva apostrofato Foreman per aver accettato di essere integrato nel sistema. Alì sfruttò in modo magistrale questa differenza, stimolando l’orgoglio africano degli zairesi: al momento del match aveva al suo angolo un’intera nazione.

Quel 30 ottobre 1974 Alì inizio l’incontro come non aveva mai fatto prima, partendo all’attacco con una serie di destri potenti a capaci di mettere in difficoltà Foreman. Ma era solo l’inizio, non era quella la trappola che il vecchio campione aveva preparato per il suo avversario. Foreman infatti, già prima della fine del round, reagì portando le sue bordate addosso al rivale. Il famoso «pugno ovunque», dove arrivava arrivava.

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