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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2014 alle ore 20:07.
L'ultima modifica è del 14 novembre 2014 alle ore 20:14.

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Radioattività da Fukushima nel Pacifico, l'area dei rilevamenti . Fonte: Woods Hole Oceanographic InstitutionRadioattività da Fukushima nel Pacifico, l'area dei rilevamenti . Fonte: Woods Hole Oceanographic Institution

Un programma di monitoraggio lungo la costa del Pacifico degli Stati Uniti e il Canada ha rilevato la presenza di quantità di radioattività in misura molto ridotta e non dannosa per la salute, originata dal disastro della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Gli scienziati del Woods Hole Oceanographic Institution (Whoi) hanno trovato tracce di isotopi radioattivi derivanti da fonti naturali e attività umane.

All'indomani dello tsunami dell’11 marzo 2011 la centrale ha iniziato a rilasciare cesio-134 e altri elementi radioattivi nell’oceano Pacifico, in quantità senza precedenti (almeno secondo le rilevazioni ufficiali). Da allora, la cosiddetta piuma radioattiva ha viaggiato verso est attraverso il Pacifico, spinta in gran parte dalle correnti oceaniche e subendo ovviamente una diluizione. I livelli di radioattività nei pressi della centrale sono arrivati a raggiungere un picco pari a oltre 10 milioni di volte i livelli riscontrati di recente in Nord America.

«Abbiamo rilevato cesio 134 al largo della costa settentrionale della California. I livelli sono rilevabili solo con apparecchiature sofisticate in grado di individuare quantità minime di radioattività», ha commentato Ken Buesseler, chimico del Whoi che guida il programma di monitoraggio. «La maggior parte delle persone non si rendono conto che prima di Fukushima c'era già cesio nelle acque del Pacifico, ma era l'isotopo cesio-137, che ha un’emivita di 30 anni ed è stato introdotto nell'ambiente durante i test militari in atmosfera negli anni 50 e 60». E però con il cesio 137 è stato trovato anche del cesio 134, che ha un tempo di dimezzamento di soli due anni, indizio che conferma la provenienza da Fukushima.

La buona notizia è che la quantità di cesio 134 individuata al largo delle coste nordamericane «è meno di 2 becquerel per metro cubo, molto inferiore a livelli di rischio misurabili per la salute umana o la vita marina», secondo le agenzie sanitarie internazionali. Più di mille volte inferiore ai limiti accettabili in acqua potabile fissati dall’Agenzia per la protezione ambientale americana (Epa).

Il viaggio delle particelle radioattive nell’oceano Pacifico dalla centrale di Fukushima (che in questi tre anni e mezzo ha continuato a immettere nel Pacifico migliaia e migliaia di tonnellate di acqua radioattiva) dovrebbe proseguire verso sud lungo la costa per poi tornare indietro e puntare sulle Hawaii. Ma in questo i modelli utilizzati differiscono notevolmente, si legge sul sito del Whoi.

La ricerca è stata condotta grazie a un progetto di crowd-funding, dal momento che nessuna agenzia Federale statunitense finanzia il monitoraggio della radioattività nel Pacifico, nonostante in passato siano stati lanciati allarmi sui pericoli possibili e sulla presenza di piccole quantità di isotopi nella carne dei tonni.

Da quando Buesseler ha avviato l’iniziativa sono stati forniti oltre 50 campioni di acqua del Pacifico e reperite le risorse per analizzarli. I risultati sono stati pubblicati sul sito OurRadioactiveOcean.org, sul quale è possibile anche farsi un’idea precisa del viaggio della radioattività dal Giappone agli Stati Uniti e sulle conseguenze della diffusione degli isotopi per la catena alimentare.

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