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Così è nata la centrale del terrore

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Attacco al cuore dell’Europa

Così è nata la centrale belga del terrore

La centrale del terrore islamico non è poi così lontana, anzi è vicina: Europa, Belgio, Bruxelles, precisamente nel quartiere di Molenbeek. Del resto, se la Svezia vanta il più alto tasso di rifugiati procapite, va al Belgio il triste primato dei foreign fighters, con 450 soldati partiti alla volta di Iraq e Siria per ingrossare le fila dell’esercito islamico. A Molenbeek sono state in parte progettate le stragi di Parigi e a Molenbeek si è chiuso un primo cerchio con la cattura di Salah Abdeslam. Da tempo il Belgio si è guadagnato una triste nomea: quella di crocevia del jihadismo europeo. Ma la strage di ieri, i diversi blitz anti-terrorismo delle settimane passate, gli attentati di Parigi del 13 novembre in cui figura, ancora una volta, una pista belga, pongono un nuovo e drammatico interrogativo. Fino a dove si sono allungati – e quanto sono andati in profondità - i tentacoli del jihadismo internazionale nel piccolo Paese cuore dell’Europa?

Quattrocentocinquanta foreign fighters partiti alla volta di Siria e Iraq per unirsi all’Isis fanno del Belgio il Paese con il più alto tasso di combattenti per abitante di tutta Europa. Qualche settimana fa il ministro belga dell’Interno, Jan Jambon, aveva sorpreso per la franchezza della sua risposta: «Il sostegno per i terroristi, nelle comunità, è maggiore di quanto pensassi. Se Salah (il terrorista ricercato per gli attentati di Parigi ed arrestato sabato scorso, ndr) ha potuto nascondersi per così tanto tempo è perché ha sostegno nelle comunità».

Questo jihadismo cresciuto in casa si mostra a noi come un iceberg: la punta che affiora è già una parete inaspettatamente alta. La parte sommersa è sicuramente più estesa, anche se sconosciuta. Eppure ogni iceberg, per quanto grande, è destinato a sciogliersi. Se solo venissero adottate le azioni più efficaci - un’intelligence molto più efficiente e collaborativa e soprattutto un reale programma nazionale di de-radicalizzazione – anche l’iceberg del jihadismo comincerebbe gradualmente a sciogliersi.

In verità il Paese simbolo dell’Europa era un humus fertile per il radicalismo islamico già molto prima dell’avvento dello Stato islamico. Fu catturato in Belgio il tunisino Nizar Trabelsi, condannato a 10 anni per un attacco a una base Nato appena dopo l’attentato delle Torri gemelle. Sempre Tunisino, e sempre e catturato in Belgio, era anche l’uomo che faceva parte del network qaedista che aveva organizzato l’assassinio del leggendario comandante afghano Shah Massoud, nemico dei talebani, il 9 settembre 2011. Anche la prima donna kamikaze europea che si fece esplodere contro un convoglio americano, nel 2005, era belga: Mauriel Degauque, convertita all’Islam . Ma la svolta arriva nel febbraio 2010, quando ad Anversa viene alla luce Sharia4Belgium. L’obiettivo del movimento era instaurare la sharia nel Belgio e, dal 2011, indottrinare e reclutare aspiranti jihadisti da inviare in Siria e Iraq.

Perché gli estremisti hanno scelto proprio il Belgio? Le ragioni sono tante. Il passato coloniale ha giocato la sua parte. Dal dopoguerra alla metà degli anni 70 un flusso migratorio di nordafricani (soprattutto marocchini, algerini e tunisini) ha investito il piccolo Paese. Oggi il 6% della sua popolazione è musulmana. Ma non è questo il problema. Lo è piuttosto l’assenza di politiche concrete per assimilare nel mercato del lavoro le minoranze di etnia diversa e per integrarle nella società. È come se il Governo avesse chiuso un occhio senza intervenire direttamente nelle comunità musulmane, lasciando ai loro rappresentanti il compito di gestire compiti che potevano essere svolti congiuntamente. Tanto che nel 2012/2013, un piccolo partito islamico, che punta a far adottare la sharia per via referendaria, è riuscito a insediare due suoi uomini nel consiglio comunale di Bruxelles e in altri comuni. Da tempo la comunità musulmana lamenta gravi discriminazioni.

L’intolleranza dei partiti di destra fiamminghi ha poi riacceso il fuoco che covava sotto la cenere. E quando Anversa diventa la prima città a vietare nei luoghi pubblici l’uso del velo islamico, nel 2009, i più conservatori non nascondono la loro rabbia. Una legge che, nel 2011, diventa nazionale. Sharia4Belgium aumenta l’attività di reclutamento di jihadisti per la Siria. Ma viene sciolta. Nel 2014 ad Anversa viene celebrato il più grande processo contro il terrorismo nella storia del Paese: 46 imputati alla sbarra, tutti di Sharia4Belgium.

Altro elemento. Agli occhi degli estremisti la posizione geografica del Belgio, nel cuore dell’Europa, ha rappresentato un indubbio vantaggio. Bruxelles si trova molto vicino ad alcune delle maggiori capitali d’Europa: Londra, Parigi, Amsterdam. Ed è collegato con un’efficiente e rapida rete di trasporti alle città tedesche e francesi. Paesi interessati dal fenomeno dei foreign fighters.

Le divisioni politiche e linguistiche rappresentano inoltre un ostacolo difficile da superare. Il Belgio soffre di una sorta di “apartheid linguistico”. Da una parte la comunità fiamminga, dall’altra quella vallona. Due mondi separati. Non solo. In Belgio esistono di fatto sei Governi del Belgio: uno federale, uno fiammingo nelle Fiandre, uno della comunità francese, un governo della comunità che parla tedesco, un governo dei valloni, e uno per la regione della capitale. Questa frammentazione si riflette a livello municipale. Solo a Bruxelles ci sono 19 distretti, ognuno con il suo sindaco. E sei autorità di polizia, le quali comunicano tra di loro con una certa riluttanza. In mano a tanti e diversi attori, la sicurezza diventa difficile da gestire e poco rapida.

A tutto ciò si aggiunge un problema strutturale: quanto a mezzi, uomini e organizzazione, i servizi segreti del Belgio sono parecchio meno efficienti di quelli dei partner europei. Una “mancanza di cultura dell’intelligence” forse dovuta anche all’ingombrante presenza di Parigi.

Altro fattore di rilievo sono i canali di finanziamento attraverso cui queste cellule possono portare a termine attentati che, per quanto molto meno costosi rispetto a quelli dell’11 settembre, richiedono comunque dei fondi. Soldi di cui l’Isis, per quanto in difficoltà, dispone in abbondanza grazie soprattutto al contrabbando di petrolio e prodotti raffinati, alla tassazione sulla popolazione che vive nel “Califfato”, ai business della tratta di esseri umani e dei beni archeologici.

Un ultimo elemento. Complici la mancanza di controlli e una scarsa presenza istituzionale nei quartieri più disagiati, in Belgio si è sviluppato un ricco mercato clandestino di armi leggere. Molte provengono dai Balcani. E non è un dettaglio irrilevante.

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