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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2012 alle ore 12:36.

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La chiave di lettura della Chiesa attuale nei confronti del Concilio Vaticano II la fornisce direttamente Benedetto XVI nell'omelia a piazza San Pietro. Il Papa - a 50 anni esatti dall'evento di maggior portata nella storia contemporanea della Chiesa - esorta a tornare ai "documenti" e alla "lettera" del Concilio, per trovarne la vera eredità, «al riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in avanti e per coglierne la novità nella continuità».

In queste parole c'è tutto il Joseph Ratzinger che nei tre anni, dal 1962 al 1965, partecipò al Concilio come perito teologo. Il messaggio - destinato naturalmente anche ai partecipanti al Sinodo sull'evangelizzazione, avviato domenica scorsa e che dovrà discutere appunto della fede - è netto: basta con le stumentalizzazioni, specie tra progressisti e difensori della tradizione (o presunti tali in entrambi i casi).

A cinquant'anni di distanza, il Concilio continua a far discutere. I documenti approvati - 4 costituzioni, 9 decreti e 3 dichiarazioni - sono stati oggetto di un dibattito che, con l'elezione di Benedetto XVI, si è intensificato. Da giovane teologo Ratzinger espresse posizioni molto avanzate, ad esempio sulla collegialità dei vescovi. Come ha raccontato egli stesso nella sua autobiografia, la violenta contestazione studentedesca del Sessantotto fece cambiare idea al giovane professore sul vento di novità che spirava dentro e fuori la Chiesa (e di recente ha ribadito che «non sono cambiato io, sono cambiati gli altri»). Da prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, poi, Ratzinger fu chiamato da Giovanni Paolo II a difendere l'ortodossia della Chiesa cattolica. E appena eletto al soglio pontificio volle confermare, ai cardinali elettori, «la decisa volontà di proseguire nell'impegno di attuazione del Concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori e in fedele continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa».

Un concetto che perfezionò in un ormai storico discorso rivolto per gli auguri natalizi alla Curia romana, il 22 dicembre del 2005, nel quale spiegò che che il Concilio andava interpretato non già con una «ermeneutica della discontinuità e della rottura», che «non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna», ma con una «ermeneutica della riforma», che vede l'evento conciliare in continuità con la storia e la tradizione dottrinale della Chiesa.

Traduzione pratica di questa impostazione, per Papa Ratzinger, sono stati, negli anni successivi, la liberalizzazione del messale pre-conciliare, un più generale recupero della sacralità della liturgia, il tentativo di suturare lo scisma dei lefebvriani. Proprio su alcune conquiste del Concilio come l'ecumenismo, il dialogo interreligioso e il ruolo del laicato, però, le trattative tra Santa Sede e eredi di mons. Lefebvre (padre conciliare ed esponente di punta della minoranza conservatrice) si sono arenate le trattative.

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