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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2012 alle ore 08:10.

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Mario Draghi e Jens Weidmann (Reuters)Mario Draghi e Jens Weidmann (Reuters)

Colta con le mani nel sacco, pur con qualche anno di ritardo. La Bundesbank, così intransigente nel porre un sostanziale veto alla Banca centrale europea guidata da Mario Draghi sugli acquisti di titoli di Stato del Club Med - i Paesi periferici dell'Unione (Spagna e Italia in testa) assillati dall'impennata degli spread innescata dalla crisi del debito sovrano - a metà degli anni Settanta acquistava a piene mani... titoli di Stato tedeschi per sostenere l'economia in difficoltà. Certo, allora a essere in difficoltà era la madre patria Germania. E questo avrà ben voluto dire qualcosa.

Il presidente della Buba, il quarantenne rampante Jens Weidmann, quando si oppone ostinatamente all'ipotesi che Francoforte vari un nuovo programma di acquisto di titoli sovrani, contraddice, quindi, «la storia della sua istituzione», sostiene in uno studio l'analista di Bnp Paribas Evelyn Herrmann. Lo studio in questione riposta alla luce un episodio che, letto nel contesto attuale, mette in crisi la coerenza dell'istituzione teutonica. È un fatto di cui oggi «la stampa tedesca non parla. Solo uno dei "saggi", Peter Bofiger, i consiglieri economici del governo tedesco, lo ha ricordato», ha commentato la Herrmann interpellata dall'agenzia TMNews.

Le informazioni su queste operazioni della Bundesbank si ottengono, in effetti, quasi unicamente da un articolo del settimanale Der Spiegel. Correva l'anno 1975. La Bundesbank intervenne sui mercati, acquistando 7,6 miliardi di marchi in titoli di Stato, obbligazioni della compagnia telefonica tedesca e delle Poste, entrambe allora a controllo pienamente pubblico. Manovra pari all'1% del Pil. La banca centrale di Francoforte, con il Securities Markets Programme (Smp) ha finora acquistato bond dell'area euro per 211,5 miliardi di euro, più del 2,2% del Pil della zona in cui circola la valuta unica (9.400 miliardi di euro nel 2011).

In Germania l'operazione di metà anni Settanta fu giustificata dal deterioramento del quadro economico, nota la Hermann, assieme ai timori di rialzi sui tassi di interesse di lungo termine, che nel 1974 sulle emissioni tedesche avevano raggiunto in media il 10,4%. «Valutare l'efficacia di questi acquisti della Bundesbank è complicato dal fatto che i dati non sono disponibili online, ma chiusi negli archivi della Banca centrale tedesca - prosegue l'analista -. Tuttavia il calo dei tassi di interesse tedeschi registrato nel 1976 e nel 1977 suggerisce che gli acquisti furono efficaci».

Mosse del genere erano contrarie al mandato della Bundesbank, che, proprio come accade oggi alla Bce, vietava di finanziare i debiti pubblici, sebbene vi siano differenze di rilievo tra gli statuti dei due istituti. Anche allora, prosegue la Herrmann, gli acquisti vennero formalmente giustificati con l'esigenza di non chiudere i canali di trasmissione della politica monetaria. «Ci sono dei chiari parallelismi tra le situazioni nel 1975 (in Germania) e nel 2012 (nell'eurozona).

Questo precedente, conclude tuttavia Hermann, «non mina la credibilità degli argomenti contrari della Bundesbank sul Smp. Weidmann non ha mai mostrato una contrarietà totale, piuttosto ha detto più volte che secondo la Bundesbank questo non è il modo migliore di gestire la crisi. E anche un suo eventuale voto contrario su 23 nel Consiglio direttivo sarebbe lontano dal bloccare simili operazioni. Mentre con questa linea - conclude la Herrmann - il capo della Buba può tutelare la sua credibiltà agli occhi dell'opinione pubblica tedesca».

La scorsa settimana il presidente Draghi, ha annunciato linee guida che, a date condizioni, tra cui l'attivazione dei meccanismi antispread da parte dei governi, prevedono la possibilità di nuovi interventi calmieranti sui mercati dei titoli di Stato da parte della stessa Bce. Sia prima che dopo la Bundesbank ha ribadito la sua contrarietà a questo tipo di interventi. Il braccio di ferro continua. (Al. An.)

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