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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2012 alle ore 23:04.

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Il caporale Tiziano Chierotti, ultimo dei 52 caduti italiani in Afghanistan, è stato ucciso da militari afghani. Lo scontro a fuoco del 25 ottobre nel villaggio di Siav, a 20 chilometri dalla base del Secondo reggimento alpini a Bakwa (provincia di Farah), è stato scatenato dalle armi di due militari afghani rinnegati, probabilmente talebani infiltrati, che hanno teso un agguato alla pattuglia italiana.

Lo racconta (non smentito) sul quotidiano Il Foglio il reporter Fausto Biloslavo in un dettagliato articolo dal villaggio Siav nel quale cita le testimonianze dei militari che hanno partecipato al combattimento. Un reportage che completa e in parte smentisce la scarna e lacunosa versione ufficiale fornita dal comando di Herat e dalla Difesa che aveva riferito di un attacco condotto "da un gruppo di insorti".

"I talebani hanno attivato due soldati per uccidere degli italiani" ha dichiarato il maggiore Gul Ahmad, capo della polizia afghana di Bakwa raccontando come due militari afghani del presidio di Siav abbiano atteso l'arrivo degli italiani per attaccarli con lanciarazzi e raffiche di mitragliatrice in un'imboscata che ha visto anche l'intervento di gruppi di insorti appostati nelle vicinanze. Nella sparatoria durata una quindicina di minuti uno dei militari rinnegati è stato ucciso ma l'latro è riuscito a fuggire con i miliziani . Il reportage è ricco di dettagli e testimonianze che fanno onore agli uomini del Secondo plotone che hanno risposto al fuoco nemico senza coinvolgere gli abitanti del villaggio ma fornisce anche informazioni sulla presenza di miliziani ceceni al fianco dei talebani e delle milizie narcos nel distretto caldo di Bakwa.

L'aspetto più grave e preoccupante riguarda però la scarsa affidabilità delle fonti ufficiali italiane che, a Herat come a Roma, risultano ancora una volta incomplete, lacunose quando non restìe a fornire informazioni e dettagli circa gli scontri che coinvolgono le nostre truppe a volte uccidendo o ferendo militari italiani. Non è la prima volta che fonti giornalistiche fanno luce su scontri e caduti italiani nella guerra afghana sulla quale tutti i governi, incluso evidentemente quello dei tecnici, hanno cercato di tenere nascosti aspetti spinosi che nulla hanno a che vedere con il segreto militare. Paradossale che ufficiali afghani raccontino senza reticenze degli insider attacks (i cosiddetti "green on blue" che vedono militari e poliziotti di Kabul sparare sui soldati alleati) dei quali le autorità italiane preferiscono a quanto sembra non parlare.

E' accettabile per le nostre forze armate subire lezioni di trasparenza e comunicazione dagli afghani? Quest'anno statunitensi, britannici, francesi e australiani hanno reso noto senza censure i dettagli delle uccisioni di una sessantina di loro soldati colpiti dagli "alleati" afghani. Roma sembra voler nascondere questi episodi che già in passato avevano provocato almeno un morto e una mezza dozzina di feriti tra il nostro contingente. Forse perché parlare dei talebani in uniforme afghana significa ammettere che le truppe di Kabul non sono certo pronte a rilevare le forze italiane in rapida ritirata dalle zone più calde dell'Ovest smentendo così le numerose dichiarazioni ufficiali che hanno celebrato negli ultimi tempi l'accresciuta efficienza dell'esercito di Kabul.

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