SIDERURGIA

Siderurgia mondiale in ripresa

di Matteo Meneghello

(Fotolia)

3' di lettura

La produzione di acciaio globale torna a salire (+0,8%) dopo la frenata del 2015, dice World Steel. A trainare è la Cina, che da sola pesa ormai per la metà dell'output mondiale. Ma anche l'Italia, in controtendenza rispetto al resto dell'Europa, torna a crescere, grazie al parziale riallineamento degli impianti Ilva. Il tema della sovracapacità globale resta però irrisolto, e anche l'inasprimento delle barriere commerciali limita solo i danni, senza affrontare la necessità di governare ristrutturazioni con accordi internazionali.

L’ultimo annuncio della Cina è di pochi giorni fa: la Commissione di supervisione e amministrazione dei beni posseduti dallo stato cinese ha annunciato un piano per ridurre di 5,95 milioni di tonnellate la produzione di acciaio, eliminando 300 «compagnie zombie» in diversi settori. I numeri però parlano d’altro. L’anno scorso la produzione di acciaio cinese è cresciuta ancora, a un tasso dell'1,2%, raggiungendo 808,4 milioni di tonnellate, per un'incidenza sull'output siderurgico globale che passa dal 49,4% al 49,6 per cento. Una mole di acciaio che travalica i confini nazionali cinesi, raggiungendo un'Europa in crisi di sovracapacità (come del resto le altre aree del mondo, Asia, compresa) dove, però, l’anno scorso l’Italia è riuscita a brillare, in controtendenza con l'arretramento generale. La siderurgia tricolore ha recuperato in un solo anno il 6% della produzione, una delle migliori performance tra i big (seconda solo a quella dell'Iran, che nello stesso periodo è cresciuto del 10,8%, e dell’India, che ha registrato un incremento del 7,4 per cento). L’Italia arresta una discesa che durava ininterrottamente da quattro anni, riportandosi sopra i 23 milioni di tonnellate (a quota 23,3 milioni).

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Merito soprattutto della crescita dei piani con il recupero produttivo dell'Ilva, ma anche, come ha ricordato recentemente al Sole 24 Ore il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, di un buon consolidamento, per certi versi sorprendente,del comparto dei lunghi, da anni in sofferenza a causa delle difficoltà del mercato interno dell’edilizia e dei lavori pubblici, principale mercato di sbocco per questo tipo di prodotti. Nel dettaglio, secondo i dati Federacciai, in undici mesi i lunghi prodotti sono stati 10,839 milioni (+3,1%), mentre i piani sono stati 10,587 milioni (+10,6%). La rincorsa italiana potrà ora beneficiare del giro di vite imposto dall'Unione europea alle esportazioni in dumping, culminato l'anno scorso con l’imposizione, a ottobre, di un dazio tra 13,2 e il 22,6% per i coils a caldo (la principale produzioni di Ilva) provenienti dalla Cina, e dell'avvio di un'indagine analoga per prodotti venduti da Brasile, Iran, Russia, Serbia e Ucraina.

Rimanendo ai dati del 2016, i principali paesi emergenti hanno confermato un ruolo dominante nella produzione di acciaio, mostrando maggiore dinamicità rispetto alle siderurgie dei paesi con una storia industriale meno recente.

La conferma arriva da una rapida analisi della top ten dei produttori (dalla quale in questi anni è uscita l'Italia, che si conferma comunque all'undicesimo posto), che vede saldamente in testa la Cina, con oltre 800 milioni di tonnellate prodotte. Al leggero calo del Giappone (l'anno scorso ha prodotto 104,8 milioni, -0,3% sul 2015.) si contrappone la crescita dell'India, che sale a 95,6 milioni di tonnellate. In calo Stati Uniti (al quarto posto con 78,6 milioni di tonnellate, -0,3%), Russia (quinta con 70,8 milioni, -0,1%), Corea del Sud (68,6 milioni, -1,6%) e Germania (-1,4%, a quota 42,1 milioni di tonnellate). Corre invece l'acciaio turco (+5,2%, per 33,2 milioni), che scavalca il Brasile (in frenata del 9,2%, a quota 30,2 milioni). Sale invece l'Ucraina, nel 2015 frenata dalla crisi politica con la Russia: l'anno scorso il recupero produttivo del decimo produttore mondiale è stato del 5,5%, a quota 24,2 milioni di tonnellate. Frena, come detto, la siderurgia europea, con una produzione di 162,3 milioni di tonnellate, in calo del 2,3% rispetto al 2015 (vale a dire quasi quattro milioni di produzione persi in un anno). In calo, oltre alla Germania, anche la Spagna (-8%, per 13,654 milioni), la Francia (-2,3% a quota 14,633 milioni) e soprattutto la Gran Bretagna, che perde il 30,9% della produzione, scendendo da 10,964 milioni a 7,581 milioni di tonnellate.

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