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Questo articolo è stato pubblicato il 10 settembre 2013 alle ore 07:41.

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Che si torni a investire sulla scuola è senz'altro un bene. Proprio il tema dell'educational, non a caso, è stato tra i più citati al Forum Ambrosetti sulle priorità del rilancio economico in Europa. Il problema è come si investe. Se si investe per gli insegnanti o si investe davvero per la qualità dell'istruzione e per gli studenti. In questo senso il decreto del governo rischia di essere l'ennesima occasione persa.
Un'occasione persa su un punto in particolare.

Quello del collegamento tra scuola e lavoro. È un tema prioritario per un Paese che registra un record di disoccupazione giovanile al 39 per cento. La ministra Carrozza ha strappato lunghi applausi, a Cernobbio, quando ha detto che è intollerabile che in Italia un giovane arrivi a 25 anni senza aver avuto esperienze di lavoro. Peccato, però, che nel decreto la questione venga quasi del tutto ignorata. La preoccupazione per il lavoro sembra essere riferita più agli insegnanti che devono entrare in ruolo, che alla necessità di dare agli studenti chance di trovare un'occupazione.
Il piano triennale per l'assunzione a tempo indeterminato di personale non tiene conto né del merito né della qualità dell'insegnamento. Il sostegno per gli studenti disagiati, poi, è una buona cosa, ma 26mila insegnanti in un colpo solo sono tanti. E troppo spesso in Italia questo canale è stato utilizzato con l'obiettivo, neppure troppo mascherato, di assorbire precari e disoccupati che non trovano collocazione attraverso altri canali. È esattamente quello che è accaduto tra il '97 e il 2000, quando la sforbiciata di un 1% di insegnanti fatta con Prodi, fu poi vanificata dall'assunzione di 36mila insegnanti di sostegno.

Sulla preparazione al lavoro degli studenti, invece, ci si limita a un piccolo passo sull'orientamento. Manca del tutto l'auspicato rafforzamento degli istituti tecnici. E, soprattutto, degli istituti tecnici superiori post-diploma, che oggi possono essere canali di formazione molto specializzata, a diretto contatto con la domanda delle imprese di manodopera ad alto valore aggiunto.
L'auspicato potenziamento dei laboratori resta fuori. Come resta fuori la possibilità di assumere veri tecnici specializzati di laboratorio, questi sì davvero necessari in una scuola che vuole essere moderna, a contatto con il mondo del lavoro in continua e rapida trasformazione.
Niente da fare per un vero collegamento tra esperienze di studio e lavoro, come avviene in ogni parte d'Europa. Mentre si aspettano i decreti attuativi della legge Giovannini su stage e tirocini, l'Italia resta l'isola "infelice" dello studio senza lavoro. Il grafico che pubblichiamo in pagina 2 è una fotografia impietosa: in Germania 22 studenti su 100 hanno esperienze di lavoro, in Italia solo 3,7. A Berlino lavori e studi insieme, da noi prima studi e poi non lavori.

Se poi è stata sventata in extremis una stretta sugli istituti paritari, che avrebbe avuto il sapore di uno statalismo di ritorno, il settore privato viene comunque escluso dagli interventi, in una sottintesa logica di ridimensionamento del suo ruolo. L'internazionalizzazione della formazione dei nostri studenti - obiettivo, questo sì, prioritario per una scuola che vuole essere davvero utile e moderna - viene di fatto ignorata. E fuori resta anche la questione, altrettanto cruciale, della valutazione della qualità e del merito di istituti e insegnanti. Uno scoglio, reso insidioso dalle polemiche mai sopite sui test Invalsi, che Carrozza finora ha preferito ignorare.
Forse è ingeneroso chiedere a un provvedimento preparato in tempi brevi di risolvere gli annosi problema della scuola italiana. Ma anche questa volta, come era avvenuto con l'Imu sul fronte del Pdl, l'esigenza dei partiti (e in questo caso è il Pd il protagonista) di rassicurare la propria base elettorale sembra prevalere sulle priorità vere. La ministra Carrozza, per formazione ed esperienza maturata al Sant'Anna di Pisa, ha cultura del merito e apertura al mondo. Quando parla di cosa serve alla scuola e all'università italiane non sbaglia un colpo. Possiamo perciò sperare che questo sia stato solo un primo tempo. Venti di crisi politica permettendo.

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