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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2014 alle ore 15:11.
L'ultima modifica è del 26 agosto 2014 alle ore 15:28.

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Il fatturato degli estremisti sunniti dello Stato islamico (IS prima Isis o Isil) si aggirerebbe intorno ai 2 milioni di dollari al giorno, grazie a varie fonti di ricavo, tra cui il petrolio. Lo scrive Bloomberg, che cita fonti dell'intelligence e dell'antiterrorismo statunitense, e sottolinea come ai ribelli non servano le donazioni esterne, perché possono contare sui profitti generati dalla vendita del petrolio, dal pagamento dei riscatti, da estorsioni e contrabbando. Per l'Is - conosciuto anche come Stato islamico dell'Iraq e della Grande Siria - non sono quindi una minaccia il lavoro diplomatico condotto dai Paesi occidentali e le possibili sanzioni contro i suoi sostenitori.

Secondo un funzionario dell'amministrazione statunitense, questa caratteristica differenzia l'Is da molti gruppi terroristici, come al Qaida, che dipendeva dai suoi legami internazionali e dalla ricchezza della famiglia di Osama bin Laden.

«Lo Stato islamico è probabilmente il gruppo terroristico più ricco mai conosciuto» ha detto Matthew Levitt, esperto di terrorismo islamico che ha lavorato anche per il governo statunitense, attualmente direttore del programma d'intelligence e antiterrorismo al Washington Institute for Near East Policy. «Non sono integrati nel sistema finanziario internazionale - dice - e per questo non sono vulnerabili». Lo Stato islamico, quindi, pone una sfida senza precedenti ai Paesi che stanno cercando di fermarlo, secondo Bloomberg, quando ormai controlla un'area compresa tra Iraq e Siria più grande del Regno Unito.

Il fenomeno dell'autofinanziamento non è del tutto nuovo. I talebani afgani vendono oppio, minerali e legname, i colombiani delle Farc esportano cocaina e i ribelli di Abu Sayyaf nelle Filippine, come i gruppi terroristici legati ad al Qaida in Yemen e Nordafrica, guadagnano milioni di dollari con i sequestri di persona. Difficile stimare le entrate di questi gruppi, ma secondo un rapporto delle Nazioni Unite i talebani avrebbero raccolto più di 400 milioni di dollari nel 2011.

Fondamentale il petrolio
Per lo Stato Islamico è fondamentale il petrolio: controlla sette campi petroliferi e due raffinerie nel nord dell'Iraq e sei dei dieci campi petroliferi presenti nella Siria orientale, e vende il greggio a un prezzo compreso tra i 25 e i 60 dollari al barile, secondo Luay al-Khatteeb, Visiting Fellow al Brookings Doha Center in Qatar. Un prezzo molto più basso rispetto a quello sul mercato internazionale, visto che i future sul Brent a Londra sono scambiati a oltre 102 dollari al barile.

Così, grazie al petrolio, gli estremisti «possono portare avanti la guerra e mantenere le istituzioni» create nel territorio tra Iraq e Siria «usando quello che resta - aggiunge al-Khatteeb - per il reclutamento». Oltre al petrolio, una fonte di ricchi profitti è quella dei riscatti: secondo un funzionario statunitense, il gruppo potrebbe aver raccolto solo grazie al pagamento per la liberazione degli ostaggi 10 milioni di dollari negli ultimi anni.

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