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Questo articolo è stato pubblicato il 20 marzo 2014 alle ore 15:29.
L'ultima modifica è del 28 marzo 2014 alle ore 16:28.

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La Commissione europea lo va predicando da anni, ma forse mai come in questo momento se n'era sentita così forte l'urgenza: bisogna ridurre la dipendenza dal gas russo. Gli esperti, tuttavia, sono ben consapevoli che l'emancipazione, sia pure parziale, da Gazprom è un traguardo lontano, raggiungibile nella migliore delle ipotesi intorno al 2020.
Oggi l'Europa non può permettersi di fare a meno del gas russo, se non per periodi molto limitati: benché i consumi della Ue-28 siano calati nel 2013 per il terzo anno consecutivo (-1,4% a 492 miliardi di metri cubi), Mosca è rimasta il primo fornitore straniero e soddisfa tuttora il 27% del nostro fabbisogno, contro il 23% della Norvegia, l'8% dell'Algeria e il 4% del Qatar, il cui Gas naturale liquefatto (Gnl) prende sempre più spesso la via dei mercati asiatici, più redditizi.
Vediamo dunque quali sono le possibili linee di azione in caso di emergenza immediata e per rafforzare la sicurezza energetica nel futuro.
1. Soluzioni d'emergenza
Purché di breve durata, un'interruzione dei transiti di gas dall'Ucraina oggi ci vedrebbe più preparati rispetto alle crisi del 2006 e del 2009. I nostri consumi sono minori e stavolta l'emergenza si verificherebbe in primavera e dopo un inverno molto mite, che ha mantenuto alti gli stoccaggi: il Gie (Gas Infrastructure Europe) riferisce che al 10 marzo erano pieni per il 47%, con 37 miliardi di mc di gas. In secondo luogo, sono migliorate le infrastrutture di trasporto: c'è ad esempio il gasdotto Nord Stream, costruito proprio dai russi, che dal 2011 consente di inviare gas in Germania aggirando l'Ucraina, ed è stata potenziata la capacità di invertire i flussi in molte pipeline per trasferire il gas da un Paese europeo all'altro (il cosiddetto reverse flow). Norvegia e Algeria potrebbero inoltre rafforzare le forniture, anche se Oslo ha già avvertito che sarebbe in grado di farlo solo per pochi giorni. Infine, si potrebbe acquistare più Gnl sul mercato spot: i rigassificatori europei sono inutilizzati per tre quarti della capacità, secondo l'Agenzia internazionale per l'energia. Ma bisognerebbe essere disposti a competere coi giapponesi, che per il Gnl pagano il 40% in più.
2. Lo shale gas americano
Molti ripongono grandi speranze sulle forniture in arrivo dagli Stati Uniti, dopo l'enorme sviluppo della produzione non convenzionale. Grazie allo shale gas Washington comincerà davvero a esportare Gnl, ma non prima del 2015-2016, quando sarà avviato il primo impianto di liquefazione, e in quantità comunque limitate: nel timore che uno sviluppo eccessivo dell'export faccia salire i prezzi sul mercato interno, le autorità Usa stanno centellinando le autorizzazioni e finora solo 6 società hanno avuto via libera a vendere anche in Europa e Asia, per un totale di 98,2 miliardi di mc di gas l'anno (in gran parte già prenotati da clienti giapponesi). Nell'ambito del trattato di libero scambio con gli Usa, Bruxelles sta spingendo per l'inclusione di clausole che consentano di vendere gas americano in Europa senza permessi ad hoc, ma Washington sembra restia a concederle. Non bisogna però dimenticare che anche Australia e Qatar potenzieranno la produzione di Gnl a fine decennio. Senza vincoli all'export.
3. Il gasdotto dal Caspio
Molto più concreta è la prospettiva di diversificare i fornitori di gas attraverso il Corridoio Sud: sistema di gasdotti che collegherà il Mar Caspio all'Europa e che secondo i piani dovrebbe sfociare in Italia con la Tap (Trans Adriatic Pipeline). La nuova condotta dovrebbe iniziare a rifornirci dal 2019, inizialmente con gas dall'Azerbaijan: non moltissimo per la verità, poiché 10 miliardi di mc sono meno del 2% del fabbisogno Ue. Ma in futuro il gasdotto potrebbe accogliere anche metano di altre provenienze: ad esempio l'Iraq e, chissà, magari anche l'Iran.
4. Le risorse del Mediterraneo orientale
Un'altra novità che ha cambiato il panorama dei mercati del gas è stata la scoperta di importanti giacimenti nel cosiddetto Bacino di Levante del Mediterrano, al largo di Israele e Cipro: si stima che ci siano riserve recuperabili per un milione di miliardi di mc, abbastanza per due anni di consumi europei. Tel Aviv ha già autorizzato l'export del 40% della sua produzione e Nicosia venderà quasi tutto all'estero. Le forniture non arriveranno prima del 2017, ma sono già allo studio progetti per impianti di liquefazione e anche una pipeline da 8 miliardi di mc, che potrebbe raggiungere la Grecia e – con il gasdotto Igi-Poseidon, progettato da Edison – anche la stessa Italia
5. Lo sviluppo dei giacimenti europei
Molti esperti spingono anche per l'ulteriore sviluppo delle risorse interne alla Ue, che tuttora autoproduce un terzo del gas che consuma, ma i cui giacimenti sono in gran parte in declino. Incentivare ulteriori esplorazioni e impianti produttivi, tuttavia, si scontra molto spesso con l'opposizione degli ambientalisti. Non solo quando si tratta di shale gas.
6. Le fonti alternative
La soluzione più drastica per liberarsi dalla dipendenza dal gas russo sarebbe liberarsi dal gas. O almeno diminuire la sua presenza nel mix energetico. L'efficienza energetica offre ancora grandi spazi di azione. La scelta di altre fonti tuttavia potrebbe eliminare un problema creandone altri: i rischi del nucleare sono ben noti, così come l'impatto ambientale del carbone. Mentre le rinnovabili – oltre a non essere sufficienti da sole – sono ancora bisognose di ricchi sussidi, che gravano sulle bollette.
Twitter: @SissiBellomo

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