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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2012 alle ore 08:50.
L'ultima modifica è del 13 febbraio 2012 alle ore 09:24.

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In un anno di austerità come il 2011, l'export italiano in valore è tornato – contro ogni aspettativa – praticamente agli stessi livelli record del 2008. Chi pensava che la crisi del 2009 ci avesse messo definitivamente in ginocchio, dunque, si è sbagliato.

Tanto che l'International Trade Centre dell'Unctad/Wto ha appena ribadito che anche nel 2010 l'Italia si è confermata seconda solo alla Germania per competitività nel commercio mondiale per numero di primi e secondi posti su un totale di 14 macrosettori analizzati. Restiamo primi assoluti nel tessile, nell'abbigliamento e nei prodotti in pelle; siamo secondi soli alla Germania nella meccanica non elettronica, nei manufatti di base (che includono i metalli e i prodotti in metallo, le piastrelle ceramiche, il vetro) e nei manufatti diversi (che includono occhialeria, oreficeria, ecc.); inoltre siamo anche sesti negli alimentari trasformati.

Il made in Italy è stato dato per morto innumerevoli volte. Da ultimo perché inadatto a competere nel nuovo scenario globale. Vuoi perché non abbiamo grandi imprese, vuoi perché non siamo presenti nei cosiddetti settori hi-tech. Ma, smentendo ogni Cassandra, il manifatturiero italiano continua ad avere successo nel mondo e a stupire. Qual è il suo segreto?

È molto semplice. In realtà, l'Italia il suo hi-tech l'ha, eccome. Sono le sue innumerevoli nicchie ad alto valore aggiunto, non solo nella moda o nell'arredo, non solo nelle piastrelle ceramiche, nell'alimentare o nei vini, ma anche nella meccanica e nei mezzi di trasporto diversi dagli autoveicoli (yacht di lusso, elicotteri, navi da crociera). Ambiti di attività dove la concorrenza a basso costo dei Paesi emergenti non ci minaccia se non marginalmente e dove i nostri maggiori competitors, che di frequente surclassiamo, sono i tedeschi e i giapponesi (nella meccanica) o i francesi (nella moda e nel lusso).

Ma, soprattutto, se è vero che non abbiamo grandissimi gruppi, è altrettanto vero che pochi altri Paesi al mondo presentano una piccola e media impresa così diffusa e così specializzata sul territorio (perlomeno al Nord-Centro) come l'Italia.
Le nostre "grandi imprese", numeri alla mano, sono i nostri sistemi produttivi territoriali.

Si prendano, a esempio, i dati Istat sugli addetti dei Sistemi locali del lavoro del 2009 e li si confrontino con i dati occupazionali dei settori industriali di alcuni Paesi Ue del l'ultimo "European Business Facts and Figures" dell'Eurostat, che riporta dati aggiornati al 2006.

Ebbene, nonostante il confronto temporale non ci favorisca affatto (essendo stato il 2009 un anno di gravissima crisi mentre il 2006 fu un anno normale), molti dei nostri Sistemi locali del lavoro non sembrano per nulla piccoli o in affanno nella comparazione internazionale. Anzi, appaiono come dei giganti. Nel tessile-abbigliamento-pelli-calzature, nonostante anni difficili, il Sistema locale del lavoro di Prato da solo rimane più importante dell'intera Austria e Busto Arsizio dell'Olanda. Il piccolo Sistema locale di Empoli supera, per numero di addetti nello stesso settore, l'Irlanda, mentre sia Santa Croce sull'Arno che Como sono più importanti della Finlandia. Sempre nel tessile-abbigliamento-pelli-calzature, basta sommare tre Sistemi locali del lavoro marchigiani come Civitanova Marche, Fermo e Montegranaro per avere più addetti dell'Estonia.

Nella gomma-plastica sono sufficienti i Sistemi di Chiari, Bergamo e Varese insieme per superare per numero di addetti la Slovenia. Così come nei mobili e negli altri manufatti è sufficiente accorpare Udine, Gorizia e Pordenone per superare gli occupati della Slovacchia. Nello stesso settore, la somma di Seregno, Treviso, Portogruaro e Pesaro conta più dell'Olanda. Negli alimentari il trio Alba-Cremona-Parma vale più dell'Estonia. Nella chimica il Sistema locale del lavoro di Milano da solo ha quasi gli stessi addetti dell'Irlanda ed è sufficiente sommare Milano con Latina per superare non solo l'Irlanda ma anche l'Austria. Nei metalli e nei prodotti in metallo il quartetto Bassano del Grappa-Lecco-Lumezzane-Seregno ha più addetti della Slovenia e il duo Milano-Torino più della Danimarca. Nelle macchine e negli apparecchi meccanici è sufficiente il quintetto Borgomanero-Busto Arsizio-Padova-Reggio Emilia e San Bonifacio per eguagliare l'occupazione del l'intero Portogallo. Il Sistema locale di Padova da solo vale come la Lituania, quello di Borgomanero la Lettonia, quello di San Bonifacio l'Estonia. Il Sistema di Bologna è di poco inferiore alla Grecia, mentre Milano conta più di Grecia ed Irlanda insieme.

E che, occupazione a parte, i nostri territori siano capaci di competere è dimostrato non solo dalle stime più recenti sull'export dei distretti italiani calcolato dalla Fondazione Edison, cresciuto dell'11,3% nei primi nove mesi del 2011, ma anche dagli ultimi dati puntuali disponibili sui 686 Sistemi locali del lavoro Istat, relativi al 2007.

In tale anno, nel tessile-abbigliamento-pelli-calzature ben 41 Sistemi locali del lavoro hanno esportato più di 250 milioni di euro e 10 di essi oltre 1 miliardo di euro. Nella meccanica il cinquantesimo Sistema locale per importanza, nel suo piccolo, è riuscito ad esportare 345 milioni di euro mentre se ne contano ben 15 con esportazioni superiori al miliardo ed altri 19 che superano i 500 milioni.

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