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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2012 alle ore 10:29.

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Quando si dice che la Siria non è la Libia - proprio questa mattina il ministro degli esteri Giulio Terzi ha escluso «che ci siano le condizioni per un'azione di tipo libico» a una domanda su cosa la Turchia chiederà domani al consiglio atlantico Nato - la differenza si coglie proprio in questo "incidente" che ha portato all'abbattimento del caccia turco da parte della contraerea siriana.

La Guerra Fredda tra Est e Ovest può diventare calda per la crisi siriana come abbiamo avuto modo di scrivere più volte in questi mesi: la Siria è una "linea rossa" per l'Iran, storico alleato di Damasco, ma anche della Russia di Putin che non soltanto mantiene il controllo del porto di Tartous, l'ultimo mel Mediterraneo, ma anche un sistema radar sofisticato. Una sorta di risposta allo scudo anti-missile piazzato dalla Nato nella base turca di Malatya, la stessa dove venerdì scorso è decollato il Phantom F 4 turco. Questo sistema dell'Alleanza tiene di mira sia l'Iran che le basi russe nel Mar Nero.

La Turchia queste cose le sa benissimo: in un eventuale conflitto con la Siria sarà in prima linea e naturalmente vuole evitare di andare in guerra da sola e senza un adeguato sostegno militare della Nato e politico delle Nazioni Unite dove ha già inviato una lettera al Consiglio di Sicurezza in attesa della riunione dell'Alleanza atlantica di domani.
Ma questo non basta. Alla Turchia conviene internazionalizzare la crisi: Ankara è già in conflitto da 30 anni sul fronte curdo, in rotta di collisione con il regime di Assad per gli aiuti alla guerriglia e in forte frizione con il governo di Baghdad. Che la Turchia voglia evitare lo scontro è evidente dalle manovre diplomatiche del suo ministro degli Esteri Ahmet Davetoglu che si è messo in contatto sia con l'Iran che con la Russia.
Gli iraniani e i russi stanno cercando di convincere Damasco a scusarsi e a pagare delle compensazioni per l'abbattimento del Phantom F-4 turco.

Questa è una delle poche vie di uscita diplomatiche per risolvere la questione ma è anche la dimostrazione che Putin, in procinto di iniziare oggi una missione in Medio Oriente (Israele, Gordania, Territori palestinesi), non ha intenzione di cedere sulla Siria come è avvenuto nel caso della Libia. La Russia è disponibile a esaminare in una conferenza internazionale, prevista per la fine del mese o l'inizio di luglio, una transizione guidata del regime siriano ma non la sua liquidazione con la forza. E' questo il messaggio che Putin porta al Medio Oriente.
Quanto alle mosse della politica estera della Turchia e allo slogan "zero problemi con i vicini" coniato dal suo ineffabile ministro degli Esteri Davutoglu si stanno rivelando pericolosamente illusori.

In realtà Ankara ha visto sgretolare proprio questo pilastro con cui intendeva tornare da protagonista in Medio Oriente. Ha rotto con Israele per l'incidente della Mavi Marmara, i rapporti con Grecia e Cipro sono sempre tesi, si sta scontrando con l'Iraq per la questione curda, ha rapporti complicati con l'Iran e la Siria è stata l'ultima delusione del primo ministro Erdogan che sognava di condizionare il suo ex amico Bashar Assad al quale aveva passato persino i codici di identificazione dei caccia dopo l'attacco israeliano del settembre 2007 al reattore siriano di Deir Ez Zor.

Era questa l'Operazione Orchidea. Fu quella la prima volta che Erdogan si infuriò seriamente con gli israeliani che non solo non lo avevano avvertito del raid in Siria (mentre stava tentando di convincere Assad ad aprire una trattativa con Tel Aviv) ma si erano riforniti in volo nello spazio aereo turco. Il primo ministro Olmert, per calmare la Turchia, presentò le sue scuse a Erdogan per la violazione. Ma intanto gli israeliani avevano cambiato il codice criptato dei loro caccia sostituendolo con un nuovo sistema di derivazione americana.
Come si vede i cieli intorno alla Turchia sono assai affollati da molti e contrastanti interessi strategici: della Nato, dei russi _ che sono importanti partner energetici dei turchi _ degli israeliani, oltre che di potenze regionali come l'Iran. Anche per questo la Siria non è la Libia.

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