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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2011 alle ore 08:22.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2011 alle ore 08:24.

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Non è stato un gesto da poco abbassare i tassi d'interesse alla prima riunione del consiglio. Per uno che doveva essere "più tedesco dei tedeschi", il debutto di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea è stato «molto coraggioso», come lo ha definito un economista che lo conosce bene.

All'ammissione che l'economia stava progressivamente rallentando, la Bce sotto l'ultimo Trichet non aveva fatto seguire i fatti. Ora l'economia è in recessione, anche se «moderata», secondo lo stesso Draghi, e, seppure le cifre dell'inflazione siano le stesse, la Bce non ha esitato ad agire. All'unanimità. Il che può significare due cose: che l'abilità diplomatica del nuovo presidente ha ricompattato il consiglio, almeno sull'esame della situazione macreconomica, oppure che anche i "falchi" ammettono che il quadro è nettamente peggiorato.

Del resto, la stessa Bundesbank ha ammesso che persino l'economia tedesca subirà una contrazione in questo trimestre. A questo si aggiunga la crisi, in fase acutissima, dell'area euro, che a sua volta accentua le difficoltà dell'economia reale, attraverso il circolo vizioso debito sovrano/banche e con l'impatto devastante sulla fiducia.

Il taglio dei tassi non risolverà i problemi dell'economia dell'eurozona, però indica che la Bce è pronta ad agire rapidamente, e probabilmente, anche se Draghi non lo ha voluto confermare, a questo ribasso ne seguirà un altro. E non risolverà la crisi del debito sovrano: per questo, Draghi ha rimandato la palla nel campo dei governi, come aveva sempre fatto da governatore della Banca d'Italia. L'accoppiata risanamento dei conti/riforme strutturali, ripetuta ieri a Francoforte anche dal suo successore in Via Nazionale, Ignazio Visco, continua a essere il suo mantra. È così che si abbassano gli spread, non con gli interventi della Banca centrale sul mercato dei titoli di Stato. Sui quali Draghi non ha offerto risposte diverse da quelle di Trichet.

Se il gesto sui tassi non è stato, e non poteva esserlo, risolutivo, ha però un significato che va al di là del semplice cambio di stile rispetto a Trichet, le risposte più brevi, a volte secche, le spiegazioni meno convolute, l'insistenza sulla mancanza di crescita. Draghi (con il suo vice Vitor Constancio, che lo affiancava sul podio) ha enfatizzato, correttamente, la continuità con la gestione del suo predecessore. «Continuità, credibilità, coerenza», ha predicato. È il verbo del buon banchiere centrale. Il Manifesto del Sole 24 Ore indica in una Bce che sia un po' più come la Federal Reserve uno dei punti per la soluzione della crisi europea. La Bce non è la Fed, e non lo sarà sotto Draghi: però l'insistenza sul nodo della crescita e l'indicazione che si può essere meno passivi (o più «attivisti», come dicono sui mercati) nel rispondere ai segnali dell'economia sono un primo segnale significativo.

L'altro aspetto interessante del debutto di Draghi è che, pur essendo meno "tedesco" del previsto, è comunque riuscito, per ora, a raccogliere i primi commenti favorevoli dagli osservatori tedeschi. E persino a concedersi una battuta sulla Bundesbank. Al cronista che gli chiedeva se si sente allineato con la sacra tradizione della Bundesbank (che, detto per inciso, non ha mai avuto problemi, pragmaticamente, a tagliare i tassi quando lo ritenesse opportuno, anche contravvenendo ai suoi totem monetari), si è profuso in elogi dei grandi vecchi Tietmeyer e Schlesinger e ha lanciato una sfida. «In futuro - ha detto - facciamo un check ogni sei mesi, e poi mi direte». Non è la più difficile delle sfide che Draghi dovrà affrontare nei prossimi otto anni. Augurargli buona fortuna al termine di una giornata in cui, mentre la Bce ha segnalato che c'è, le convulsioni politiche si sono, se possibile, aggravate, è augurarla all'Europa.

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