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Questo articolo è stato pubblicato il 09 febbraio 2012 alle ore 07:39.

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FRANCOFORTE. Sono passati in un lampo i primi cento giorni di Mario Draghi, paracadutato il 1° novembre scorso alla presidenza della Banca centrale europea nella fase più acuta della crisi più grave dell'Eurozona. Ma, per citare il cancelliere tedesco Angela Merkel sulla soluzione della crisi, anche il mandato del banchiere centrale «sarà una maratona, non uno sprint» e, anche se le prime valutazioni dei mercati finanziari e delle autorità europee sono generalmente positive, il giudizio definitivo sul suo operato rifletterà inevitabilmente l'evoluzione dei problemi dell'Eurozona, che pure dipende da tanti altri protagonisti.

Draghi è partito con il piede giusto e, com'è nel suo stile, con poche parole e molti fatti. A poche ore dall'insediamento, ha approvato un taglio dei tassi d'interesse a sorpresa e ricompattato il consiglio, profondamente spaccato negli ultimi tempi della presidenza di Jean-Claude Trichet. Il mese dopo, altro taglio, anche se non unanime. La ripetizione del vangelo antinflazionistico della Bce, ma anche le sottolineature sulla necessità di far ripartire la crescita. Poi l'annuncio della decisione più importante di questo primo scorcio di presidenza: la fornitura di liquidità alle banche per tre anni.

In una fase in cui l'interbancario è paralizzato e le banche hanno enormi difficoltà a raccogliere fondi sul mercato, in cui si parla apertamente dell'incombere di una crisi da far impallidire il dopo-Lehman, la Bce spazza via la possibilità di un crack bancario nell'Eurozona nel 2012 e forse nel 2013. Ridà fiato alla raccolta delle banche, riaprendo piano piano il mercato. Ottiene come effetto collaterale l'acquisto da parte delle banche di debito dei Paesi della perfieria, Italia in testa, contribuendo al rientro degli spread. «Non sottovalutare l'Ltro», sostiene una ricerca di Morgan Stanley, utilizzando la sigla inglese delle operazioni a lungo termine della Bce. «Abbiamo evitato un credit crunch gravissimo», dirà Draghi a Davos. Quel che non è ancora riuscito a fare è far ripartire il credito o migliorarne le condizioni (anche se gli ultimi dati si riferiscono a dicembre, quando la prima delle due operazioni era appena stata completata). Ma i conti veri si faranno dopo la prossima, a fine febbraio. Quel che non poteva fare era risolvere da solo la crisi dell'Eurozona, un'aspettativa non realistica, ma certo ha dato una bella mano a stabilizzare i mercati.

L'altro fronte sul quale il nuovo presidente della Bce si è mosso è quello diplomatico, una delle sue specialità, grazie alla sua rete di relazioni internazionali eccellenti. Ha ricucito la frattura con la Germania, sanguinosa dopo le dimissioni di Axel Weber (fino ad allora favorito su Draghi stesso per la successione a Trichet) e di Juergen Starck, sulla questione degli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce (di cui più volte il nuovo numero uno dell'Eurotower ha rimarcato i limiti di tempo e dimensioni). Anzi, con un'altra mossa a sorpresa, ha assegnato al membro tedesco del board, Joerg Asmussen, non il ruolo di capo economista cui tutti pensavano la Germania ambisse, ma l'incarico assai più importante e delicato, in questa fase, di partecipare ai negoziati europei. Ha sollecitato i politici a realizzare il "fiscal compact", una frase da lui stesso coniata per individuare l'insieme di nuove regole per la politica di bilancio nell'Eurozona. Il risultato è venuto all'ultimo vertice europeo.

Nella comunicazione, oggi una dote imprescindibile per un banchiere centrale, ha rivelato uno stile più asciutto, risposte più dirette di quelle di Trichet. Il quale aveva peraltro sviluppato un gergo («vigilanza, forte vigilanza») che i mercati avevano imparato a decifrare. In un paio di occasioni, Draghi, forse per troppa franchezza, si è esposto a fraintendimenti. E lo ha ammesso lui stesso.

Più di tutto, nei suoi primi cento giorni, ha confermato quello che aveva detto alla sua nomina uno degli economisti e policymakers internazionali che lo conosce meglio, il capo economista del Fondo monetario, Olivier Blanchard: «Sarà un banchiere centrale pragmatico».

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