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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2012 alle ore 08:42.
L'ultima modifica è del 30 giugno 2012 alle ore 11:15.

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Niente trionfalismi, per favore. Per quanto finito bene, un vertice da solo non fa primavera. E la strada per uscire dall'emergenza euro resta lunga e ancora piena di ostacoli. In casa e fuori.
Un fatto però è incontestabile: con Mario Monti l'Italia è tornata protagonista in Europa, ha ricominciato a giocare nel negoziato e anche a spuntare risultati.
Non accadeva dal 1990 da quando, al vertice di Roma, l'allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti riuscì a imporre la sfida della moneta unica nonostante l'irriducibile opposizione di Margaret Thatcher. O da quando ancora prima, nel 1985, a Milano era stato il premier Bettino Craxi a mettere in minoranza la triplice dei renitenti, tra i quali la solita Thatcher, aprendo la strada con l'Atto Unico alla creazione del grande mercato europeo.
Certo, quello che l'Italia ha ottenuto ieri a Bruxelles, cioè un uso un po' più flessibile dei fondi salva-Stati, Efsf e Esm, per calmare la corsa degli spread nei Paesi in difficoltà ma in regola con gli impegni presi a livello europeo, non ha la portata storica delle decisioni animate in passato. Però serve a salvaguardarle entrambe. Non è poco.

Il collasso dell'euro sarebbe infatti inevitabile qualora cadesse il bastione italiano. La fine della moneta unica si trascinerebbe dietro, altrettanto inevitabilmente, quella del mercato unico.
Angela Merkel lo sa. Per questo, sia pure obtorto collo e alla fine di un durissimo braccio di ferro, la cancelliera si è arresa all'evidente necessità di non respingere brutalmente al mittente le ragionevoli richieste avanzate da Italia e Spagna. Ha ammorbito un po' le sue accanite resistenze, sia pure nei limitati margini di manovra concessi dal voto al Bundestag, qualche ora dopo, proprio sulla ratifica dell'Esm. E dai sempre più diffusi malumori dell'opinione pubblica tedesca.
Puntando a spezzare il circolo vizioso tra crisi delle banche e del debito sovrano, il vertice ha così deciso di passare a un sistema europeo di vigilanza bancaria unica. E ha autorizzato l'Esm, come richiesto da Madrid, a procedere direttamente alla ricapitalizzazione delle banche, senza più passare dai Governi, ma sempre secondo le previste procedure di condizionalità e controllo. E ha rimosso il suo status di creditore privilegiato.

Sempre nel quadro delle regole vigenti, l'Italia ha ottenuto che Efsf e Esm possano intervenire per stabilizzare i mercati come già previsto, senza però imporre ai Paesi richiedenti – in quanto non in predicato di bail-out ma solo in difficoltà di finanziamento sui mercati complici gli iper-spread - condizioni aggiuntive rispetto a quelle che quei Paesi già attuano secondo gli impegni presi in sede europea.
Non è la rivoluzione degli eurobond e neanche un cauto principio di mutualizzazione del debito. Però la politica tedesca del dogmatismo senza remissioni ieri in qualche modo è stata scalfita e costretta a fare i conti con la realtà dei problemi degli altri, che non sempre e non necessariamente sono il prodotto di comportamenti riprovevoli e della violazione dei patti ma piuttosto la conseguenza di eventi esterni non controllabili.

In questo senso il vertice di Bruxelles ha mostrato insoliti spiragli di buon senso, che promettono bene per il futuro dell'euro. Se non si riveleranno un exploit puramente episodico, frutto delle forti pressioni incrociate del momento, potrebbero essere il principio di una politica anti-crisi più lungimirante, efficace e costruttiva. La riprova si avrà il 9 luglio, quando e se le intese di ieri saranno messe in bella copia dai ministri dell'Eurogruppo senza cattive sorprese.
Doveva essere François Hollande il mattatore di questo summit che ha tenuto a battesimo il pacchetto per il rilancio della crescita europea, il chiodo fisso della sua campagna elettorale. In realtà il nuovo presidente francese per ora in Europa si muove con esitazione, alla ricerca di un posto al sole che ancora non ha trovato. Anche questo ha permesso a Monti di emergere facendo gioco di squadra con la Spagna contro gli estremismi di ogni tipo e colore.
Nel solco della sua tradizione per troppo tempo dimenticata, l'Italia ha restituito al club dell'euro una buona dose di ragionevolezza e moderazione, cioè gli ingredienti che hanno fatto l'Europa. Proprio la loro lunga assenza dal dibattito europeo ha favorito il dilagare della crisi. Forse da ieri un po' di realismo e buon senso sono tornati di casa. Buon segno.

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