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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2014 alle ore 19:11.
L'ultima modifica è del 20 ottobre 2014 alle ore 21:48.

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(Afp)(Afp)

È partendo da Kobane che si capisce come vanno le cose in Medio Oriente ma anche dalle nostre parti. Alla fine i turchi hanno ceduto alle pressioni di Washington permettendo ai curdi siriani e iracheni di andare a combattere con i loro fratelli assediati dal Califfato. La notizia, accompagnata da lanci provvidenziali di armi e rifornimenti americani, circolava da almeno un paio di giorni ed stata confermata dal serafico ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu, che esegue alla lettera quanto gli dicono il presidente Tayyep Erdogan e il primo ministro Ahmet Davutoglu.

Ai curdi messaggio a due facce
Questa coppia di leader islamici a Kobane ha bastonato duramente i curdi per settimane scatenando la polizia e l’esercito per impedire che passassero dall’altra parte, accanendosi in particolare con i curdi turchi del Pkk, organizzazione qualificata come terroristica con la quale il governo dice di avere in corso da un anno un negoziato con Abdullah Ocalan che finora non ha portato a nulla di concreto.
Come ormai è chiaro a tutti per precisa dichiarazione di Erdogan, sulla scorta della mozione votata in Parlamento, i «jihadisti del Califfato e i curdi el Pkk sono per Ankara la stessa cosa».

Erdogan domenica ha assimilato il Partito Unione e Democrazia (Pyd), che coordina le milizie di Kobane, con il partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). Cavusoglu ieri ha lanciato un appello al Pyd perchè collabori con l’opposizione siriana dell’Esercito libero siriano, manovrato da turchi, qatarini e sauditi, e rinunci all’idea di creare una regione autonoma curda in Siria. Il messaggio di Ankara ai curdi siriani, in sintesi, è questo: fatevi pure ammazzare nella lotta la Califfato ma non sperate di ottenere nulla sul terreno. In poche parole la Turchia ha come obiettivo far fuori i curdi e ottenere la caduta di Bashar Assad a Damasco, non combattere lo Stato Islamico come vorrebbero gli Stati Uniti.

Il nodo del Pkk
Ma quando sembrava che Kobane stesse per cadere nelle mani degli islamici, in Turchia sono esplose le proteste nelle principali città (35 morti) contro l’atteggiamento di un governo che schierava i carri armati Patton sul confine a meno di un chilometro dalla città siriana senza fare nulla. Allora, quasi per miracolo, è ripreso il negoziato con i curdi e il premier Davutoglu si è spinto a chiedere al leader del Pkk Ocalan, richiuso nell’isola di Imrali, di scrivere una lettera ai capi della guerriglia per placare le manifestazioni.

La decisione di far passare i curdi siriani e iracheni esclude i curdi turchi del Pkk. Ma proprio questi erano stati tacitamente riabilitati dagli Stati Uniti quando sono andati a combattere come volontari con i curdi iracheni di Massud Barzani, in grave difficoltà di fronte all’avanzata del Califfato, arrivato a meno di mezz’ora di auto da Erbil.

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