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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2014 alle ore 12:44.
L'ultima modifica è del 26 marzo 2014 alle ore 19:22.

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Graziano Delrio (a sinistra) e Maria Elena Boschi in Aula alla Camera (Ansa)Graziano Delrio (a sinistra) e Maria Elena Boschi in Aula alla Camera (Ansa)

Sta per scoccare l'ora delle Province 2.0. Più che abolire o svuotare gli enti di area vasta il disegno di legge Delrio - che sarà approvato oggi in seconda lettura dal Senato e tornerà poi alla Camera per il via libera definitivo - provvede infatti a ridisegnarli. Trasformandoli in assemblee formate dai sindaci e dai consiglieri comunali del circondario. Che non percepiranno alcuna indennità aggiuntiva e avranno poteri esclusivamente di pianificazione. Eccezion fatta per l'edilizia scolastica e le pari opportunità, che rappresenteranno le uniche funzioni "vere" delle nuove amministrazioni provinciali. Non cambierà invece il loro numero complessivo. Centosette erano e 107 resteranno. Con l'unica differenza che in 10 casi, a partire dal 1° gennaio 2015, la provincia lascerà il posto alle Città metropolitane.

Un unico grande punto interrogativo avvolge il provvedimento: quanti e quali risparmi sarà capace di produrre? Un miliardo a regime, secondo l'Esecutivo. Un centinaio di milioni, a detta dell'Upi. E non manca chi, come la commissione Bilancio del Senato, teme che i costi possano addirittura aumentare.

Le nuove Province
In attesa che la riforma costituzionale più volte annunciata elimini dagli articoli 114 e seguenti della carta fondamentale il riferimento alle Province, il ddl Delrio ne ridisegna i connotati. Facendole diventare enti di secondo livello imperniati su tre organi: il presidente, che sarà il sindaco del comune capoluogo; l'assemblea dei sindaci, che raggrupperà tutti i primi cittadini del circondario; il consiglio provinciale, che sarà formato da 10 a 16 membri (a seconda della popolazione) scelti tra i sindaci e i consiglieri comunali del territorio. Oppure tra i membri uscenti degli enti in scadenza quest'anno a cui il provvedimento ha lanciato una curiosa "ciambella di salvataggio". Per nessuno di questi organi è previsto un compenso.
Al tempo stesso cambiano le funzioni provinciali. Su trasporti, ambiente e mobilità avranno la semplice pianificazione, mentre manterranno la gestione dell'edilizia scolastica e cominceranno a occuparsi anche di pari opportunità. Tutte le altre passeranno ai Comuni a meno che le regioni non preferiscano tenerli per sé. E lo stesso percorso seguiranno il personale e il patrimonio.

Al via dal 2015
Le nuove Province resteranno in carica quattro anni e vedranno la luce ufficialmente a partire dal 1° gennaio 2015. Nel frattempo, verranno prorogati fino a fine 2014 i 52 presidenti di provincia che sarebbero scaduti in primavera e i 21 commissari attualmente in carica. L'allungamento della scadenza riguarderà anche gli assessori. Con una differenza curiosa però: nelle Province continueranno a essere pagati; nelle città metropolitane no. Anche nell'ultima versione del maxiemendamento su cui l'assemblea del Senato si è pronunciata questa disparità è stata eliminata.

La nascita delle città metropolitane
A proposito di Città metropolitane viene riportato a 10 il numero di quelle che, sempre a partire dal 2015, sostituiranno altrettante amministrazioni provinciali. Si tratta di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Roma (con poteri diversi), Napoli e Reggio Calabria (che partirà però nel 2016). Anche nel loro caso gli organi saranno tre: il sindaco metropolitano, che sarà quello del Comune capoluogo a meno che lo statuto non preveda l'elezione diretta; il consiglio metropolitano, che sarà formato da 14 a 24 membri (a seconda della popolazione) scelti tra i sindaci e i consiglieri comunali del territorio; la conferenza metropolitana, che raggrupperà tutti i primi cittadini del circondario. A differenza delle Province le Città metropolitane avranno dei compiti "pesanti". Oltre a quelli rimasti agli enti di area vasta si occuperanno infatti della pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture, dell'organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano, della viabilità e mobilità e dello sviluppo economico.

Il nodo dei risparmi
Con un tweet inviato ieri sera il premier Matteo Renzi si è concentrato sui 3mila consiglieri provinciali che scompariranno con la riforma. E il suo riferimento non è casuale, visto che al momento quello è l'unico risparmio certo prodotto dal ddl Delrio. Che oscillerà tra i 100 e i 150 milioni riconosciuti anche dall'Upi a cui si potrebbero aggiungere i circa 300 milioni di mancato esborso per il fatto che non si tornerà alle urne in primavera nei 52 enti in scadenza. A fronte del miliardo più volte indicato come obiettivo a regime dall'Esecutivo. Ma per la commissione Bilancio del Senato il provvedimento potrebbe addirittura produrre nuovi costi. Nelle sette osservazioni al ddl presentate oggi la commissione ha sottolineato che «non può escludersi la duplicazione di costi e funzioni» dalla norma che «consente l'elezione diretta del sindaco e del Consiglio delle Città metropolitane». Evidenziando poi il rischio che il trasferimento di personale e funzioni delle Province ad altri enti territoriali possa «comportare costi, sia in termini economici che organizzativi, allo stato difficilmente quantificabili». Rilievi che il Governo ha recepito nel testo del maxiemendamento su cui è stata posta la fiducia, introducendo formule di rito sul rispetto dei vincoli di finanza pubblica. Ma chissà se basteranno a scongiurarli.

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