Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2012 alle ore 08:16.

My24

Uno dei misteri più insondabili della storia della filosofia è rappresentato dal caso di I.F., pensatore erratico e travagliato quant'altri mai. Come tutti sanno, la sua inusitata vicenda umana ispirò capolavori letterari come il William Wilson di Poe, Il sosia di Dostoevskij e Il dottor Jekyll e Mister Hyde di Stevenson. Ma fu soprattutto in ambito filosofico che I.F. lasciò una traccia indelebile: e in questo senso basterà ricordare – come raccontato in dettaglio nell'ultimo numero della «London Review of Books» – che l'insanabile rottura tra i due maggiori filosofi italiani del Novecento si consumò quando Gentile restituì a Croce un volume di scritti di I.F. tutto sottolineato a penna.
Ma chi era veramente I.F.? E perché la sua figura continua a esercitare su di noi un tale fascino? Le ragioni sono molte, ma una delle principali è di certo l'inusitata variegatezza della sua produzione. Nella prima fase della sua vita I.F. fu filosofo di estrema sistematicità e trascendentale difficoltà. Celebri furono, in particolare, tre suoi volumi in cui sviluppava in modo sommamente articolato e preciso un imponente sistema teorico, in cui ogni aspetto dell'esistenza veniva sottoposto a un'inflessibile critica razionale. Così, il primo volume analizzava in grande dettaglio ciò che possiamo sapere, a priori e a posteriori, con l'analisi e con la sintesi, evitando di incorrere in cose disdicevoli come le anfibologie, i paralogismi e le antinomie. Il secondo volume spiegava ciò che dobbiamo fare – cioè, detto in breve, niente di quello che ci piacerebbe –. L'ultimo volume, infine, si occupava di estetica e di biologia, mescolando le cose in modo così innovativo che alcuni tra i suoi amici, come il De Quincey, ipotizzarono che I.F. avesse subito un trauma cranico.
Trauma o no, da quel momento I.F. iniziò a smantellare metodicamente tutto ciò che aveva scritto sino ad allora. Così, al posto della ragione, si mise a decantare la follia; invece dell'analitica dei concetti studiò l'analitica del potere; e, dimenticandosi della fisica newtoniana, si mise a discettare di microfisica (anche se, a dire il vero, la meccanica quantistica non fu mai il suo forte). Ma I.F. era ormai diventato uno spirito perennemente insoddisfatto: non sorprende, dunque, che finì con l'abbandonare del tutto la filosofia e si diede all'archeologia – campo in cui scrisse un volume che è ancora oggi un punto di riferimento ineludibile –. Ma ancora più sorprendente fu il cambiamento della sua condotta di vita. Se infatti negli anni giovanili era stato meticoloso, casto e puntualissimo (al punto che Haydn lo usava per regolare il metronomo), nella maturità I.F. divenne disinibito e sregolatissimo, al punto che le licenziose pratiche sessuali in cui si gettò a capofitto ne compromisero irreparabilmente la salute.
È noto che Sigmund Freud gli dedicò uno dei suoi scritti più importanti (Il perturbante ovvero il caso di F.), in cui ipotizzò che il Nostro fosse affetto da un disturbo schizoide di personalità. Ma già Jung criticò questa interpretazione, affermando che Freud aveva falsificato tutti i dati e non aveva nemmeno tanto chiaro il significato della parola "perturbante". Sia come sia, il mistero su I.F. è fittissimo, e chissà se ne verremo mai a capo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi