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Questo articolo è stato pubblicato il 23 marzo 2013 alle ore 08:14.

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AMMAN. Dal nostro inviato
Obama ha chiuso ieri la parte politica del suo viaggio in Medio Oriente concentrandosi sulla Siria, sulla necessità di accelerare un cambio di guardia a Damasco e sull'urgenza delle dimissioni di Assad. Tuttavia, ha chiarito Obama da Amman, da dove riparte oggi per Washington, occorre preparare allo stesso tempo le condizioni perché un avvicendamento alla guida del Paese non si traduca in una nuova crisi umanitaria, politica e potenzialmente militare. Ci sono infatti due rischi impliciti nella fragilità siriana, il primo è la fuoriuscita di armi chimiche, il secondo che gruppi terroristici organizzati riescano a conquistare nel caos generale fette importanti di potere.
È dunque in chiave siriana che si spiega il ruolo di mediazione di Obama fra Turchia e Israele e la telefonata a sorpresa di ieri fra il primo ministro Netanyahu e il premier Erdogan. Una conversazione di dieci minuti, sotto gli occhi di Obama, che ha riaperto i canali fra Gerusalemme e Istanbul per la prima volta in oltre due anni. Obama ha raccontato in conferenza stampa di aver lavorato per quasi due anni al recupero del dialogo fra due alleati chiave degli Stati Uniti che potranno svolgere un ruolo chiave proprio per gestire la transizione dei poteri in Siria: «Il problema siriano è un problema americano – ha detto Obama – ma non possiamo affrontarlo da soli. Israele e Turchia sono due alleati chiave per l'America, è da tempo che cerco di riavvicinarli e ieri è sembrato che ci fossero le condizioni ideali», ha detto il presidente ad Amman, a Palazzo Al Hummar, dopo il suo incontro con re Abdullah di Giordania. Così, ieri, Nethanyahu ha chiesto scusa a Erdogan e alla Turchia per gli «errori» compiuti nell'intercettare un convoglio navale partito dalla Turchia nel 2010. Il convoglio, carico di pacifisti, voleva rompere l'embargo imposto da Israele a Gaza portando rifornimenti alimentari e medicine, ma, soprattutto, voleva dimostrare solidarietà. Gli israeliani, autorizzati da Nethanyahu, sono intervenuti e lo scontro, accidentale secondo Israele, si è chiuso con nove morti sulle imbarcazioni partite da Istanbul. Erdogan reagì in modo durissimo. Ieri infine, la tregua: Erdogan ha accettato le scuse. Il primo ministro israeliano si è anche impegnato a risarcire i familiari delle vittime.
Ma non si tratterà di un dialogo facile. Lo stesso Obama, sempre nella conferenza stampa, ha precisato: «Fortunatamente (Israele e Turchia, ndr) sono stati capaci di ricostruire un rapporto, si tratta di due dei più importanti paesi della regione. Questo non toglie che ci sono e ci saranno ancora molti disaccordi e non solo sulla questione palestinese».

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