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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2012 alle ore 17:24.

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ATENE - A due giorni dalle elezioni, l'ex premier greco Giorgos Papandreou dal suo ufficio della Fondazione Papandreou con vista sul Partenone, mobili moderni e quadri astratti alle pareti, incontra alcuni esponenti della stampa internazionale, tra cui il Sole 24 Ore, per lanciare alcuni messaggi alla vigila di un voto che «potrebbe mandare in recessione il mondo».

Primo punto: «Se si fosse fatto il referendum sul Memorandum» (non sulla permanenza nell'euro) come lui aveva proposto al summit di Cannes e l'ex presidente francese Sarkozy bocciò nonostante la Merkel fosse d'accordo, «ora non saremmo a questo punto». «L'Europa per sopravvivere deve essere democratica», spiega mentre sorseggia con calma un té caldo. Si sarebbe consentito ai greci di esprimersi sul salvataggio senza mettere a rischio la permanenza nell'euro.

Secondo punto: Alexis Tsipras, 37 anni, leader di Syriza «è solo un populista di sinistra», non è affatto un vero progressista. «Tsipras è contro ogni riforma, nazionalizzerà ancora di più l'economia, aumenterà il numero dei dipendenti pubblici e ha invitato la gente a non pagare né i pedaggi austradali, né le biglierri dei trasporti né le tasse». Syriza «non è altro che una forma camuffata dei fenomeni morbosi di opportunismo e di demagogia che abbiamo vissuto a sazietà negli anni che hanno seguito la caduta del regime dei colonnelli».

Terzo punto: Per uscire da questo empasse c'è solo una road map che passa da una maggiore integrazione europea, il cui primo passo consiste nell'«unione bancaria europea», passa dalla unione fiscale, dagli eurobond e arriva a una maggiore «integrazione della difesa». Non parla della Turchia, il "nemico" di sempre, ma è evidente che la crisi economica ha indebolito la capacità di reazione greca da ipotetici assalti esterni o dalle consuete provocazioni estive nei cieli dell'Egeo.

Più nel dettaglio per l'esponente dell'Internazionale socialista «ci vuole nel breve un'assicurazione, una garanzia europea dei depositi in modo da evitare la corsa agli sportelli bancari», spiega «in cambio di una maggiore integrazione sui controlli europei delle banche». Senza dimenticare che le banche greche hanno bisogno di una ricapitalizzazione dopo quella di emergenza fatta un mese fa per 16 miliardi di euro alle quattro maggiori banche del paese. Ammette anche che il Psi, cioè la partecipazione forzosa alle perdite nella ristrutturazione dei bond ellenici dei privati è stato un «errore», che ancora oggi paghiamo con la cautela dei fondi e degli hedge americani verso l'Europa.

«C'è stata nei giorni in cui ero premier troppa cautela nel costruire una scudo protettivo e alla fine siamo arrivati sempre con troppo poco e troppo tardi». Non nasconde le colpe del suo paese, afflitto da una evasione fiscale endemica, dalla corruzione, da un deficit pari al 16%, dalle corporazioni e dal mancato ammodernamento dell'apparato statale. «Ci voleva però più tempo invece lo abbiamo perso». E oggi in vista del G20 penso che il rischio sia di parlare di un G zero, cioè di paesi incapaci di dare una nuova governance al sistema finanziario globale».

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