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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2012 alle ore 14:26.
Due anni e sentirli tutti. Ecco come stanno i 200mila investitori italiani che il 16 settembre 2008 sono stati colpiti nel patrimonio dal fallimento della banca statunitense Lehman brothers. Divisi pressoché equamente in due parti: coloro che in portafoglio si sono ritrovati titoli obbligazionari della banca finita in chapter 11 e coloro che, in molti casi inconsapevolmente, avevano sottoscritto polizze unit o index linked a capitale garantito con strumenti sottostanti riconducibili a Lehman.
L'entità complessiva delle perdite è stata di circa due miliardi di euro: di cui uno su conti amministrati e l'altro su strumenti "polimorfi" di tipo bancassicurativo. Le regioni più colpite dal fenomeno Lehman sono state la Lombardia, seguita dal Veneto e dall'Emilia Romagna. In coda: Molise e Abruzzo. Monumentale il contenzioso in corso con la clientela anche se una ricostruzione puntuale risulta assai complessa per la dispersione delle cause sul territorio. La particolarità, descritta nell'articolo in basso, è che molte delle compagnie di assicurazione coinvolte nell'erogazione di polizze hanno preferito mettere mano al portafoglio, per ricomporre il rapporto con la propria clientela.
Una scelta d'immagine costosa che, in alcuni casi, viene imitata da banche specializzate nel collocamento attraverso promotori finanziari. E' stato il caso (recente) di Banca Network Investimenti che ha accettato una transazione per una polizza index linked emessa dalla propria azionista Commercial Union (oggi Aviva Previdenza).
Più in dettaglio, sul collocamento dei titoli obbligazionari di Lehman gli orientamenti dei tribunali italiani che già hanno sentenziato si sono divisi più o meno equamente: da una parte (Tribunale di Venezia e quello di Savona) c'è la convinzione che l'intermediario non avesse la possibilità di prevedere il crollo del colosso americano Lehman Brothers. E in particolare che il fatto di avere comunicato il rating al cliente sia elemento sufficiente a chiarire il grado di rischio dell'investimento. Ma c'è almeno un'altra sentenza del Tribunale di Udine che, al contrario, non ritiene tale comunicazione sufficiente. Il fatto poi che almeno sino al giorno del fallimento Lehman Brothers avesse mantenuto i rating elevati attribuiti dalle principali firm del settore quali Standard's & Poors e Moody's è una circostanza che ha fatto propendere alcuni studi legali per l'ipotesi di citare in giudizio le agenzie di rating: «Si tratta di una scelta che non paga – spiega l'avvocato di Formia Angelo Castelli, che sinora ha recuperato circa 70 milioni di euro tra vari crack Cirio, Parmalat e Argentina, raggiungendo una specie di primato italiano tra legali con 170 cause vinte – le agenzie infatti non hanno patrimonio sufficiente a fare fronte a eventuali risarcimenti».
Così come sembra essere inutile un'insinuazione al passivo che vede gli investitori italiani nel ruolo subordinato di creditori chirografari. «Dovrebbero accontentarsi delle briciole rimaste dopo avere soddisfatto le pretese dei creditori privilegiati, dipendenti e fornitori». E allora? «La strada è quella della citazione in giudizio delle banche che hanno collocato quelli strumenti finanziari, spesso non spiegando nei dettagli o non illustrando adeguatamente le caratteristiche dell'investimento e non commisurandole al grado di propensione al rischio del singolo cliente».
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