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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2012 alle ore 20:20.

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Credit Suisse ha deciso di «sottopesare» un po' meno le banche europee. La notizia è tutt'altro che irrilevante, poiché, con l'universo degli investitori non solo tremendamente scarichi di titoli bancari del Vecchio continente, ma addirittura al ribasso (venduti allo scoperto, insomma), la decisione del Credit Suisse va letta come un timido consiglio di acquisto.

Del resto l'indice Stoxx bancario è salito del 24% dal 9 gennaio e quello dell'area euro addirittura del 31%. Chi aveva venduto i titoli allo scoperto è corso a ricomprarne una parte. L'esempio più eclatante è UniCredit, le cui azioni sono volate dell'80%. Se questo sembra un grande risultato, andrebbe notato che dopo tanta corsa le quotazioni di UniCredit non sono nemmeno al livello del 3 gennaio e che, per eguagliare il non eccitante massimo del febbraio 2011, manca ancora un esorbitante 210%. In teoria i titoli bancari avrebbero ancora parecchia strada da fare.

Continuiamo con Credit Suisse. Il colosso svizzero consiglia di restare neutri sulle banche inglesi e su quelle italiane, considerate le «maggiori beneficiarie dei finanziamenti a lungo termine della Bce». E, siccome essere neutri significa riportarsi al peso indicato dagli indici, questo è un aperto consiglio d'acquisto. Un ritrovato moderato ottimismo comincia a far breccia anche tra gli analisti di altre grandi banche d'affari europee e persino americane. In Italia, è ancor più marcato e Intermonte, uno dei principali broker di Piazza Affari, alquanto pessimista sul settore fino a poco tempo fa, ha dichiarato d'essere «positivo» sul comparto: in particolare su Mediobanca, Banco Popolare e UniCredit.

Assai interessanti sono le motivazioni per cui il Credit Suisse (peraltro decisamente ottimista sui titoli assicurativi europei che consiglia di sovrapesare) privilegia le banche italiane a dispetto delle francesi: perché l'Italia ha un debito complessivo (pubblico e privato) inferiore; perché ha un minor deficit pubblico; perché possiede un'economia più aperta; perché ha già approvato un efficace sistema pensionistico. Infine, perché le banche italiane hanno beneficiato più di tutte dei finanziamenti della Bce, che dovrebbero portare nel 2012 un utile aggiuntivo del 7%, contro il 2,2% del settore europeo.

Discorsi come questi sarebbero parsi insensati un mese fa e il cambiamento di umore tra gli investitori dà l'idea dei capovolgimenti che gennaio ha prodotto sui mercati. Più ancora dei progressi delle Borse (+14% lo Stoxx da metà dicembre, +11% Wall Street), è la forte caduta dei rendimenti dei Btp (il 3 anni è passato dal 7,7% di novembre al 3,5%) a dare la misura del nuovo clima. In meno di due mesi, parecchie cose sono cambiate: il nuovo Governo italiano ha varato radicali riforme fiscali, l'attività economica è in buona ripresa negli Usa e comincia a dar segni di recupero anche in Europa. Soprattutto è intervenuta la Bce che, finanziando con quasi 500 miliardi il sistema bancario, ha permesso a parecchi istituti di acquistare titoli di Stato sul mercato.

E, a fine mese, la seconda fase del finanziamento potrebbe vedere una partecipazione ancor più numerosa da parte delle banche europee, al punto che parecchi analisti stimano una richiesta di fondi vicina a mille miliardi. Grazie al migliorato clima, una parte significativa di quel denaro dovrebbe fluire verso i titoli di Stato a maggior rendimento. Il ruolo delle banche centrali sembra dover condizionare i mercati del credito anche quest'anno, e forse più del 2011. Basti pensare che con l'operazione «Twist», la Fed ha assorbito un controvalore di Treasury a lunga scadenza pari al 91% di quanto emesso dal Tesoro Usa. E nei prossimi giorni anche la Bank of England potrebbe incrementare di almeno 50 miliardi l'attuale quantitative easing. Prima o poi tutto quel denaro finirà per creare seri guasti all'economia. Ma, per ora, pare utile per gestire l'emergenza.

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