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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2012 alle ore 08:40.
L'ultima modifica è del 30 giugno 2012 alle ore 11:14.

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Sull'euforia della vittoria calcistica, i paralleli tra il risultato ottenuto dall'Italia a Varsavia e quello ottenuto a Bruxelles si sono sprecati. L'analogia, però, è sbagliata e pericolosa.
Sbagliata perché i vertici europei non forniscono risultati così netti come una semifinale di calcio. Pericolosa, perché rafforza l'antagonismo tra Europa del Sud e Germania. Nel calcio c'è un vincitore ed uno sconfitto. Se l'Europa riesce ad evitare il disastro finanziario, invece, a vincere sono tutti, Germania inclusa. Se non riusciamo, perdiamo tutti. Non si tratta quindi di «sconfiggere la Merkel», ma di trovare una soluzione accettabile da tutti gli stati membri. In questo sforzo, il vertice di Bruxelles ha fatto importanti passi in avanti, ma non così definitivi come i trionfalismi nazionali e i rialzi di Borsa vorrebbero farci credere.

Un passo importante è stato il riconoscimento che «è imperativo spezzare il circolo vizioso tra banche e debito sovrano». Si tratta di una mera dichiarazione di intenti o di un programma d'azione europeo cui seguiranno gli interventi necessari per attuarlo? Nel secondo caso sarebbe un passo avanti fondamentale verso la risoluzione della crisi europea. Oggi, però, è difficile dirlo.
Rassicura che i membri dell'Eurozona abbiamo sentito la necessità di creare una forma di intervento diretto (e quindi non mediato dalla politica) dell' European Financial Stability Fund (Efsf) alle banche in difficoltà. Accompagnato da un sistema di supervisione bancaria europea, quest'accordo potrebbe rappresentare l'embrione di una unione fiscale possibile: un'unione con trasferimenti tra Stati (come vuole l'Europa del Sud), ma anche con un trasferimento di potere dalla periferia al centro (come richiede la Germania). Introdurre gli uni senza l'altro creerebbe incentivi perversi all'irresponsabilità fiscale.

Purtroppo il comunicato ufficiale non entra nei dettagli su come funzionerà quest'autorità di supervisione e in che modo (e a quali condizioni) i soldi del l'Efsf saranno usati per stabilizzare le banche. Se si tratterà di un semplice meccanismo di salvataggio finanziato dai contribuenti europei, non avrà lunga vita. Difficile dire se finiranno prima i soldi o la volontà dei contribuenti europei di pagare a pie' di lista per gli errori altrui (come quelli delle banche spagnole ed irlandesi). In entrambi i casi, questa scelta accelererebbe la fine dell'euro, invece che rafforzarne la stabilità. Altra cosa è se il nuovo supervisore diventa, come vado ripetendo da tempo, un meccanismo di amministrazione controllata europea per le banche in crisi, che eviti i costi di un'insolvenza repentina, senza proteggere gli investitori da ogni perdita. In tal caso si sarebbe fatto un passo significativo per la stabilizzazione del sistema finanziario europeo. Meno successi sono stati ottenuti sul fronte più importante per l'Italia: la riduzione dello spread dei nostri titoli. Per convincere immediatamente il mercato che Spagna ed Italia non possono fallire, non bastano 500 miliardi. Occorre la disponibilità, almeno potenziale, dell'intervento illimitato della Bce. Ma la Merkel non si fida di far questo passo per paura che la garanzia del soccorso elimini la pressione politica all'austerità fiscale. Difficile darle torto: non appena lo scorso agosto la Bce intervenne per acquistare i nostri titoli, il governo Berlusconi si rimangiò il suo programma di austerità. Senza questa garanzia, però, il sostegno offerto dall'Efsf agli Stati in difficoltà non è sufficiente a fugare la paura di un default. Se non si elimina questa paura, però, gli spread non si riducono. Il compromesso raggiunto (l'Efsf può comprare i titoli con la Bce nel ruolo di “agente”) è ambiguo come tanti prima. Quando il mercato si renderà conto che si tratta della solita aspirina, la delusione sarà cocente.

La più grossa beneficiaria degli accordi di Bruxelles è la Spagna. La possibilità che in futuro le banche possano essere ricapitalizzate attraverso un intervento diretto dell'Efsf, evita al governo spagnolo il rischio di vedere il proprio debito pubblico esplodere in caso di ulteriori aiuti al suo sistema bancario. Nel frattempo viene eliminato lo status preferenziale concesso agli aiuti europei. Tale status rendeva più garantiti i fondi prestati dall'Europa, a danno dei nuovi titoli che il governo spagnolo emetteva al pubblico, aumentandone così i rendimenti. Sarebbe paradossale se la grande vittoria italiana si traducesse solo in un favore alla Spagna, non solo calcisticamente parlando.

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