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Questo articolo è stato pubblicato il 08 aprile 2012 alle ore 08:10.

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La caccia alle azioni dai grandi dividendi è strategia in gran voga di questi tempi. E a gestori e investitori non si può certo dar torto, perché di società che ricompensano la fedeltà dell'azionista con cedole piuttosto generose ce ne sono molte, soprattutto a Piazza Affari. A partire da Enel, che dall'alto del suo rendimento cedolare (il cosiddetto dividend yield) del 9,7% guida l'ipotetica classifica, sono più di 40 le società italiane quotate che garantiscono un ritorno superiore a quello di un conto deposito vincolato, altro strumento gettonato fra il grande pubblico.

Il confronto, in questi casi, potrebbe però essere fuorviante e condurre facilmente all'errore il risparmiatore che si lascia ammaliare dalle cedole: da una parte abbiamo infatti un prodotto, il conto deposito, che garantisce un introito relativamente sicuro (attorno al 4,5% annuo lordo, a meno che non si debbano svincolare in anticipo le somme consegnate alla banca); dall'altra uno strumento, l'azione, il cui rendimento complessivo è probabilmente quanto di più aleatorio possa esistere nel panorama delle attività finanziarie.

La maxi-cedola, infatti, non basta a fare di un titolo azionario un buon affare per l'investitore. Certo, la si incassa puntualmente una volta all'anno, in genere nel mese di maggio, ma poi si deve fare anche i conti con il saliscendi del prezzo di Borsa che spesso può anche annullare del tutto i benefici del dividendo. Considerando anche le performance azionarie degli ultimi mesi, la pattuglia dei «magnifici» 40 che batte il conto deposito più o meno si dimezza.

Illusioni ottiche
Ma c'è anche un altro aspetto importante da considerare quando si parla di dividend yield: spesso le cifre invitanti di questi giorni non sono niente più di un effetto ottico, perché è il forte deprezzamento dei titoli (Enel, per esempio, ha perso il 40% negli ultimi 12 mesi, ma ad altri è andata pure peggio) ad aver fatto lievitare il valore relativo della cedola. Salvo rare eccezioni, chi avesse investito in quelli che adesso figurano in testa alla classifica dei «generosi» starebbe ancora leccandosi le ferite, altro che campioni dei guadagni. Certo, guardare i risultati del passato è spesso il peggior errore che si possa commettere, ma gli esempi riportati a fianco sono abbastanza significativi di quanto possa succedere quando si accede alla Borsa ragionando sui soli dividendi.

Messo in chiaro questo particolare non del tutto insignificante, sono comunque numerosi i gestori che sfruttano la propria particolare ricetta per selezionare quali tra le quotate offrano cedole in grado di resistere nel tempo. In genere lo fanno passando i bilanci societari ai raggi x e cercando di individuare soprattutto quanti abbiano flussi operativi di cassa stabili ed elevati e una situazione debitoria sotto controllo. Operazione di sicuro necessaria, e probabilmente fuori dalla portata di un piccolo risparmiatore, ma che in ogni caso non sposta di una virgola la sostanza del discorso: i guadagni stabili nel tempo si realizzano, anche per il tipico «cassettista», indipendentemente dalla maxi-cedola.

I «sempreverdi»
A ben considerare, infatti, le azioni di Piazza Affari che hanno stabilmente offerto un guadagno reale (cioè superiore al tasso di inflazione corrente) negli ultimi 5 anni si contano sulle dita di una mano. Soltanto (in ordine alfabetico) Campari, De Longhi, Luxottica, Pirelli e Saipem hanno difeso il portafoglio dal caro-prezzi, indipendentemente dal dividendo garantito (il loro dividend yield, anzi, non supera il 4%). Il rialzo di Borsa di questi titoli supera infatti il 3,3% a un anno, il 7% a 3 anni (l'equivalente del 2,3% annualizzato) e l'11,7% a 5 anni (2,2% annualizzato), cioè i tassi registrati dall'inflazione in Italia. Un buon test di solidità in un lasso di tempo sufficientemente ampio che comprende due crisi profonde dei mercati (subprime e debito pubblico europeo) e recuperi altrettanto improvvisi dei listini.

Queste società «sempreverdi» hanno evidentemente nella crescita dei fatturati, nella solidità dei bilanci e nella stabilità degli utili in qualsiasi fase di mercato, più che nell'elargizione di lauti dividendi, l'arma vincente per convincere gli investitori. Non mancano, ovviamente, le eccezioni: Cairo Communication, per esempio, è una società che figura nella «top ten» dei generosi di Piazza Affari e allo stesso tempo, proprio grazie alle cedole, è riuscita a offrire guadagni reali ai soci nell'ultimo quinquennio. Con lei figurano anche Bb Biotech, Datalogic e Tod's fra quanti sono stati in grado di garantire un rendimento «total return» (ovvero comprensivo del reinvestimento delle cedole riscosse): per loro il dividendo ha fatto la differenza, ma soltanto perché avevano già il passo del «maratoneta» di Borsa.

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