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La flessibilità e il rischio della trappola

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scenari 2016

La flessibilità e il rischio della trappola

Un vecchio conoscente che lavora a Francoforte per la Bundesbank ripete che l’unico formaggio gratis nella vita è quello nella trappola dei topi. Umorismo del Meno, immagino.

Ma se il 2015 è stato l’anno in cui ci si è procurati la flessibilità, cioè il formaggio, bisogna evitare che il 2016 sia l’anno della trappola.

Cerchiamo di spiegarci: il fatto che l’Italia abbia ottenuto nel gennaio 2015 (dopo tre anni di richieste) maggiori margini di spesa pubblica per l’anno nuovo sta facendo scattare a Berlino una serie di contromisure intese a limitare ogni condivisione dei rischi di bilancio. Un piano del governo tedesco – rivelato su queste colonne e digerito con ammirevole aplomb dai commentatori italiani – propone che qualsiasi paese che in futuro richieda assistenza al fondo salva-stati, il Meccanismo europeo di stabilità (Mes), sia soggetto alla ristrutturazione automatica del proprio debito pubblico attraverso l’allungamento delle scadenze dei titoli di Stato.

Si tratta dell’equivalente del bail-in bancario applicato al debito pubblico, un modo cioè per far pagare la ristrutturazione dei debiti agli obbligazionisti e non ai contribuenti degli altri paesi. Nel caso delle banche era previsto che a fronte di un organismo unico di supervisione delle banche europee e di un sistema unico di risoluzione degli istituti in difficoltà (basato sul bail-in) venisse predisposta anche un’assicurazione dei risparmi comune (cioè finanziata con risorse condivise) che garantisse il rimborso dei depositi fino a 100mila euro in caso di insolvenza di un istituto di credito. Ma la Banca centrale tedesca, che ha ripreso a ispirare le mosse del governo di Berlino, ora chiede che questo ultimo e decisivo passo verso la condivisione dei rischi bancari venga posticipato oltre i prossimi dieci anni. Prima, secondo la Bundesbank dovrebbe essere ridotta la quantità di titoli pubblici nei bilanci delle banche europee. La ragione sarebbe che se la banca dovesse saltare perché il debito pubblico di un Paese è diventato meno sostenibile, salvare la banca significherebbe salvare lo Stato e questo non è accettabile per i Trattati, se non attraverso il Mes e quindi, come abbiamo appena detto, previa ristrutturazione automatica del debito. Ma non solo. In un documento ufficiale pubblicato pochi giorni fa, la Bundesbank sostiene che prima di approntare un’assicurazione comune dei depositi sarà anche necessario disporre di norme di diritto fallimentare omogenee in tutti i Paesi. L’armonizzazione delle norme sull’insolvenza era stata già approvata dal Consiglio Ue nel 2014, ma questo non basta, spiegano alla Bundesbank. Senza nuove norme un Paese particolarmente subdolo potrebbe scegliere di scaricare i costi di imprese indebitate sui bilanci bancari, per poi far fallire le banche e infine scaricarne i costi sull’assicurazione dei depositi finanziata dai contribuenti stranieri.

Delirio paranoico? La risposta sintetica è “forse”. Quella articolata è che quanto più l’Italia cerca modi per allargare un po’ il disavanzo – con uno stile retorico un po’ provocatorio che fa risaltare il rischio che il debito pubblico alla fine non si riduca nemmeno quando il paese cresce e metta in pericolo gli equilibri degli anni successivi – e tanto più nei paesi finanziariamente solidi scattano silenziosamente le contromisure.

Tutto ciò non è tanto rilevante finché Mario Draghi garantisce che la Bce mantenga stabile il valore dell’euro prima di tutto tenendolo unito. Il presidente della Bce ha fatto capire che l’allentamento quantitativo, attraverso il quale la Banca centrale sostiene anche il mercato secondario dei titoli di stato, dovrebbe continuare fino al marzo 2017. Ma gli investitori non sono così convinti che il programma di acquisti possa proseguire senza scosse. Draghi stesso è sotto una severa pressione. In particolare, l’opinione pubblica tedesca è in armi. Se i Paesi che beneficiano maggiormente degli acquisti non faranno il loro dovere (ottenendo una crescita tale da far scendere il rapporto debito-Pil) durante i mesi di tranquillità garantiti dalla Bce, sarà difficile giustificare l’attivismo della banca centrale. Poiché inoltre i mercati tendono ad anticipare gli eventi, non si sa se la fase di quiete durerà davvero fino al marzo 2017 o se non ci saranno sussulti all’avvicinarsi di quella data.

Quello che l’assicurazione dei depositi rappresenta per le banche, l’intervento della Bce lo rappresenta per i debiti pubblici: forme di condivisione dei rischi che stanno diventano indigeste. Infatti, quello che è augurabile dal punto di vista della politica economica, non va d’accordo con ciò che è fattibile dal punto di vista politico. L’austerità facilita la mutualizzazione quando questa è meno utile, mentre la flessibilità fa scattare la logica di ognuno per sé quando quella è più pericolosa. Il problema è che essendo la Commissione europea troppo debole per regolare i conflitti tra Paesi con esigenze diverse, i disaccordi restano sospesi e si accumulano. Danno luogo anche a scontri sempre più espliciti tra governi, come si è visto di recente tra Roma e Berlino. Ma quando manca un’istanza politica comune che prenda decisioni credibili e condivise sulla politica economica dell’euro-area nel suo complesso, la parola ultima rischia di tornare ai mercati finanziari.

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