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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2012 alle ore 08:10.

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Quando Mario Monti afferma che perdere la battaglia degli "spread" significa aprire le porte in Italia al governo degli euro-scettici, o per meglio dire dei nemici espliciti dell'Europa, è difficile dargli torto.

Ma l'analisi del premier può essere letta anche in altro modo: proprio per non essere sconfitti, proprio per reggere alla complessità della sfida che si sta giocando nell'Unione, è indispensabile che l'Italia non esca dalla via maestra. Qualsiasi errore, ma anche qualsiasi debolezza politica rischia di essere pagata a caro prezzo.
In altre parole: se si fallisce al tavolo dell'Europa, il contraccolpo interno favorirà le forze antagoniste dell'euro. Beppe Grillo, certo, ma tanti altri: tutti coloro che a destra o nell'estrema sinistra aspettano solo il momento opportuno per avviare un'offensiva di tipo nazionalistico o addirittura localistico. D'altro canto, se l'Italia non riesce o non vuole consolidare l'impianto europeista del governo e della sua base parlamentare, ecco che la partita sarà ugualmente persa perché l'esecutivo (l'attuale e quello che scaturirà dalle prossime elezioni) non sarà in grado di farsi valere con il vigore necessario a Berlino, Parigi, Bruxelles, Francoforte. In tutte capitali dove si combatte la battaglia.

Come si vede, il mosaico politico diventa più complicato ogni giorno che passa. Le notizie dai mercati restano drammatiche e la giornata di ieri, vissuta intorno alle parole di Draghi, conferma tutta l'incertezza della situazione. Monti ha messo il dito nella piaga perché ha cominciato a porre il nodo della prossima consultazione elettorale, all'inizio del 2013. Sarà una sfida nella sfida. Fra coloro che sostengono senza ambiguità lo sforzo dell'esecutivo, determinati a procedere sulla via tracciata, e coloro che puntano sul fallimento dell'Europa e della moneta unica. Una terza via non c'è e possiamo prevedere che non ci sarà nemmeno nella primavera dell'anno venturo.
Per quanto numerosi siano i partiti e per quanto insoddisfacente si possa rivelare la riforma elettorale in gestazione, il dilemma politico delle elezioni sarà molto semplice: pro o contro l'Europa come l'abbiamo conosciuta negli ultimi decenni; pro o contro l'Italia in Europa.

Il che porta al tema di fondo che ormai emerge dalle nebbie di un dibattito politico senza dubbio modesto: l'Italia nel prossimo futuro può fare a meno di Monti a Palazzo Chigi? A questa domanda oggi è impossibile rispondere in modo affermativo se si desidera che il paese resti, anche nella nuova legislatura, all'interno della cornice europea. Tuttavia la prospettiva non è scontata.
Le maggiori forze politiche hanno bisogno di essere spinte dalle circostanze ad abbracciare la linea del realismo. E questo comporta una precisa conseguenza: le probabilità di un governo Monti dopo il voto (s'intende fondato su una maggioranza politica ben strutturata) saranno tanto più incoraggianti quanto più si creerà un movimento (partito o «rassemblement» alla francese) capace di far propria la sfida europea e avanzare in modo esplicito a Monti la richiesta di restare al suo posto. Tutto il resto rischia di essere un diversivo pericoloso. Altro punto è il contributo di idee che le forze della maggioranza vorranno dare al premier. Ma prima, in nome della stabilità, va sciolto il nodo politico. È anche questo che i mercati stanno chiedendo all'Italia.

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