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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2014 alle ore 19:04.
L'ultima modifica è del 19 ottobre 2014 alle ore 08:47.

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C'è la necessità «di migliorare le istituzioni esistenti o di crearne di nuove per difendere e proteggere quelli che in questa fase di transizione si trovano a perdere il posto di lavoro». A dirlo il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, in occasione del sessantesimo anniversario del Mulino. L'obiettivo finale, aggiunge, non deve essere la difesa del posto, ma del lavoratore.

L'inquilino di Palazzo Koch prende spunto dallo studio di due ricercatori dell'Università di Oxford, secondo cui il 47% degli attuali posti di lavoro negli Stati Uniti sarebbe a rischio di essere automatizzato nel giro di un paio di decenni.

Analoghe stime, a cura del centro studi Bruegel, producono valori anche superiori al 50% per i principali paesi europei, inclusa l'Italia. «Si rimane impressionati da questi dati», spiega Visco. Ma, aggiunge riferendosi al passaggio dall'economia agricola a quella manifatturiera, «non è che questi cambiamenti nella storia non ci siano mai stati». Si tratta, dice ancora il governatore, di «fenomeni anche gestibili», a patto che che ci siano «aggiustamenti in altri settori che possiamo immaginare e prevedere». Poiché «i tempi stanno cambiando» (la lezione si ispira, con una punta di nostalgia generazionale, alla canzone di Bob Dylan) occorre essere preparati al cambiamento, dice il governatore.

In particolare, molte opportunità nel nostro Paese si trovano nei servizi, «perché sono molto arretrati, sia sul lato della domanda che dell'offerta». In questo contesto «punto cruciale è come difendere i lavoratori nella transizione: ci vogliono sistemi non di difesa del posto di lavoro ma del lavoratore, sistemi di sicurezza sociale che vanno rivisti e ripensati. Alcuni parlano di reddito di cittadinanza», conclude il governatore, «ma è tutta una questione da esplorare e da rivedere, con un'attenzione che non credo sia limitata al nostro Paese».

Il Governatore è intervenuto anche sulla crisi dell’Eurozona, che non appare terminata. «Il timore di uno euro-break up, una rottura dell'euro - afferma tuttavia - si è perso. E chi oggi lo ripropone sta guardando dallo specchietto retrovisore. Ora ci vuole, però, una visione per il futuro». Visco batte a lungo sul tasto della necessità di offrire un sostegno europeo agli investimenti pubblici e sull'esigenza di «dare un segno che in Europa si possono mettere in comune anche le spese per la ricerca di base e per l'innovazione, per le infrastrutture, per la difesa», non limitarsi a condividere solo le banche o la moneta.

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