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Questo articolo è stato pubblicato il 30 maggio 2014 alle ore 17:05.
L'ultima modifica è del 30 maggio 2014 alle ore 17:47.

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L'Italia non è un paese per giovani. Specie se dottorandi. Lo conferma la quarta indagine annuale dell'Adi su dottorato e post-doc. Secondo la quale dal 2008 a oggi le posizioni di dottorato bandite dagli atenei sparsi lungo la penisola sono diminuite del 19 per cento. Peggio ancora va al Sud: -38 per cento. Numeri che ci portano al quinto posto in totale tra i Paesi Ue per numero di dottorati. Che diventa però addirittura il terzultimo se li rapportiamo alla popolazione complessiva.

Borsisti e non in picchiata continua
La quarta analisi dell'associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (Adi) raccoglie e rilancia l'allarme giunto nelle scorse settimane dal Consiglio universitario nazionale (Cun). Per effetto dei tagli agli atenei intervenuti dal 2008, nello stesso arco di tempo, i dottorati in tutta Italia si sono ridotti del 19 per cento. Con on un picco negativo (-38%) nelle regioni del Sud Italia. Analoga riduzione si è avuta anche per il numero di borse di studio bandite ogni anno con un calo del 16% tra il 2008 e il 2014 e con una disomogenea distribuzione territoriale che svantaggia ancora una volta i territori del Mezzogiorno (-33%).

Tassi di reclutamento sempre più bassi
A peggiorare il quadro interviene anche il fenomeno che il reclutamento dei ricercatori a tempo determinato sta viaggiando su ritmi di gran lunga più bassi: nel corso del 2013 sono state bandite solo 520 nuove posizioni per ricercatori a tempo determinato di tipo a (cioè di durata triennale prorogabili di altri 2) e 130 posizioni per ricercatori a tempo determinato di tipo b (cioè di durata triennale). A tal proposito l'Adi fa notare che se questi livelli dovessero essere confermati, nei prossimi 4 anni, dei 15.300 assegnisti attivi nel 2013: oltre l'86,4% non continuerà a fare ricerca dopo uno o più anni di assegno; il 10,2% uscirà dal mondo della ricerca dopo un contratto da Rtd di tipo a; solo il 3,4% sarà trasformato in Rtd di tipo b, avviandosi verso la carriera accademica. In definitiva, il 96,6% dei 15.300 assegnisti sarà espulso dal sistema accademico.

Usciamo sconfitti dal confronto con il resto dell'Ue
Questi numeri fanno peggiorare ulteriormente la nostra posizione rispetto agli altri Paesi europei. Innanzitutto in termini di dottorati complessivi. Una vulgata che si sente spesso in Italia è che produciamo troppi dottorati rispetto alle possibilità che il mercato del lavoro ha di assumerli. I dati forniti da Eurostat - sottolinea il rapporto - smentiscono questa tesi analisi. Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2012, con i nostri 34.629, dottorati ci collochiamo al quinto posto tra i Paesi europei. Ben lontani però dai primi tre, tant'è che la Francia (3° posto) ha più del doppio dei nostri dottorandi (70.581), il Regno Unito quasi il triplo (94.494) e la Germania addirittura 208.500. Se questi numeri li consideriamo in rapporto alla popolazione complessiva con il nostro 0,6 diventiamo terzultimi. Persino gli Stati maggiormente colpiti dalla crisi economica continuano ad avere performance migliori: la Grecia occupa l'8° posto con 2,1 dottorandi ogni 1.000 abitanti; Irlanda e Portogallo sono rispettivamente al 10° e 11° posto con 1,9 e 1,8. A condurre la classifica sono Finlandia, Austria e Germania con, rispettivamente, 3,7, 3,1 e 2,6 dottorandi ogni 1.000 abitanti. Peggio di noi fanno solo Spagna e Malta.

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