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Gli indirizzi internet sono finiti, attesa per il nuovo protocollo Ip. Italia indietro

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2011 alle ore 08:15.

«Oggi è uno dei giorni più importanti della storia di internet». Parola di Rod Beckstrom, capo di Icann, l'ente internazionale che gestisce i nomi a dominio del web. L'ha detto giovedì, in occasione della cerimonia con cui Iana (Internet assigned numbers authority) ha assegnato ai registrar mondiali l'ultimo blocco di indirizzi Ipv4. «Non ce ne sono più», ha specificato. L'Ipv4 è l'attuale standard con cui i computer comunicano via internet, ciascuno con un proprio indirizzo, attraverso cui mandano e ricevono informazioni.

Il boom che la rete sta vivendo, anche nei paesi in via di sviluppo, ha fatto esaurire tutti i 4 miliardi di indirizzi che con quello standard era possibile generare. Comincia quindi la transizione verso uno standard più evoluto: l'Ipv6, successore dell'Ipv4, e non esposto a questi problemi di penuria di indirizzi. L'Ipv6 è il riflesso di una nuova internet che verrà: davvero cosmopolita, diffusa anche nei paesi poveri, e ancora più onnipresente nelle vite e negli oggetti quotidiani. Tutto questo domani, però. Anche se la fine degli indirizzi Ipv4 è una pietra miliare, ci metterà un po' di tempo per portare effetti pratici nella vita di internet. Prima di tutto, passeranno alcuni mesi prima che i registrar mondiali finiscano di assegnare, a operatori, aziende, grossi enti, gli indirizzi ip ottenuti da Iana. Dopo comincerà un periodo in cui non potranno più nascere nuovi indirizzi e quindi bisognerà fare parsimonia con i vecchi. «Temo che sboccerà un mercato nero dell'Ipv4, dove soggetti non autorizzati cominceranno a venderne alle aziende», ha avvisato Beckstrom.

Grandi aziende e organizzazioni però impareranno a ottimizzare gli indirizzi pubblici (Ipv4) già ottenuti. Faranno maggiore ricorso a escamotage come il Nat (in sostanza, l'uso di indirizzi privati). E cominceranno a adottare l'Ipv6 per comunicazioni non-internet, per esempio tra i propri datacenter o con il fornitore di servizi cloud computing.

La migrazione all'Ipv6 coinvolgerà in seguito la rete internet pubblica e sarà graduale. Ad oggi, del resto, nessun servizio internet è accessibile in Ipv6. Siamo ancora nel periodo delle prove generali. L'8 giugno, le principali aziende web (Google, Microsoft, Facebook, Yahoo!, tra le altre) abiliteranno il supporto Ipv6 sui propri siti. Ma solo per 24 ore.

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Perché internet passi all'Ipv6, i principali operatori devono riconfigurare la propria rete in modo da supportare il nuovo standard. Quelli italiani al momento spiccano per lentezza: solo il 25% di loro ha richiesto già indirizzi Ipv6, contro il 50% della Germania, il 39% della Francia, il 42% della Grecia, il 34% del Regno Unito (secondo i dati di Ripe, Regional internet registry europeo). Il grattacapo, per l'operatore, è dover cambiare alcune impostazioni dei propri apparati; sostituirli se sono vecchi e non supportano ancora l'Ipv6.

Lo stesso dovranno fare gli utenti, per comunicare in Ipv6, controllando le caratteristiche del proprio pc, sistema operativo e router. Ma non ha senso farlo adesso, per gli utenti comuni: probabilmente, diventerà una necessità solo fra qualche anno.

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