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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2014 alle ore 06:42.
L'ultima modifica è del 05 novembre 2014 alle ore 23:30.

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Anche le multinazionali voltano le spalle alla Svizzera. E non c'entra, naturalmente, l'immigrazione, quanto piuttosto le politiche fiscali su cui Berna viene nettamente scavalcata, in termini di attrattività, da Dublino.

L'ultima in ordine di tempo a fare rotta verso "l'Isola di smeraldo" è Yahoo! che, dopo aver già spostato il suo quartier generale europeo a Dublino, ha annunciato che tutti i suoi servizi in Europa, Africa e Medio Oriente saranno d'ora in poi gestiti da una società con sede in Irlanda (si veda Il Sole 24 Ore del 6 febbraio). Le aziende che fanno pubblicità su Yahoo! già da novembre stipulano contratti con Yahoo! Emea Ltd, una società appunto di diritto irlandese; dal 21 marzo anche gli utenti privati di servizi mail o messaggistica si rapporteranno con questa. Finora, invece, i clienti interagivano con le diverse sussidiarie della multinazionale americana - in Francia, Germania o Italia - che a loro volta giravano i ricavi alla filiale svizzera, Yahoo! Sàrl. Il risultato dell'operazione è che Yahoo! di fatto trasferisce l'imponibile da Berna a Dublino.
Difficile non pensare, nonostante le smentite ufficiali, che i vantaggi fiscali abbiano giocato un ruolo preponderante nella scelta. La Svizzera, infatti, al momento applica alle aziende che fanno profitti fuori dalla Confederazione una corporate tax che è meno della metà del 21% imposto alle società che operano su base locale, ma l'Europa preme perché Berna riveda questo regime: le regole comunitarie, infatti, chiedono piena equiparazione nel trattamento fiscale di imprese nazionali e straniere. La Confederazione sta discutendo su come armonizzare i sistemi a un livello più basso del 21%, ma difficilmente potrà arrivare al 12,5% che è l'attuale corporate tax irlandese. Non a caso Yahoo! non è l'unica a prendere in considerazione l'ipotesi, come ha confermato a Reuters Barry O'Leary, ceo di Ida Ireland, l'agenzia per gli investimenti, parlando di «una manciata» di altre aziende che stanno valutando il trasferimento dalla Svizzera all'Irlanda. «Se due o tre decidessero in questo senso - ha detto - sarebbe l'inizio di un trend».

L'appeal di Dublino, del resto, non si ferma a quel 12,5%, come dimostra il flusso costante di investimenti diretti esteri (quasi 30 miliardi di dollari nel primo semestre 2013) e la nutrita presenza di multinazionali, soprattutto del settore hi-tech, che hanno fatto della capitale irlandese il loro quartier generale europeo, da Google a Apple, da Twitter a Intel e PayPal. Grazie a una serie di alchimie fiscali che combinano il regime irlandese con le scappatoie consentite dalla legislazione statunitense (la più nota è il cosiddetto "double Irish"), le multinazionali possono infatti sottrarre una parte consistente dei profitti al fisco.
Su queste pratiche, dopo l'Ocse - che sta studiando le contromisure al cosiddetto "profit shifting", l'elusione fiscale - ha puntato il dito anche la Commissione europea, con il commissario alla Concorrenza Joaquín Almunia che ha chiesto chiarimenti sui regimi fiscali di alcuni Paesi (a quanto sembra Irlanda, Olanda e Lussemburgo).
E mentre il premier Enda Kenny continua a respingere le accuse di "paradiso fiscale" che gli arrivano dai partner europei, Francia in testa, e gli inviti ad alzare le tasse societarie, la pugnalata più dolorosa gli arriva da Dublino: secondo uno studio diffuso in questi giorni da James Stewart, professore associato di Finanza al Trinity College, la tassa effettiva che le multinazionali americane pagano in Irlanda sarebbe ben al di sotto del 12,5% nominale, attestandosi nel 2011 addirittura al 2,2 per cento. Il report, che prende le mosse dai dati dell'Ufficio di analisi economica del Dipartimento del commercio Usa, piazza dunque l'Irlanda appena alle spalle di Bermuda (0,4%) e Isole caraibiche britanniche (1,2%), paradisi fiscali riconosciuti. La Svizzera, in questa speciale classifica, è sesta con un'aliquota effettiva del 6,68 per cento.

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