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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2012 alle ore 07:02.
L'ultima modifica è del 23 agosto 2012 alle ore 09:24.

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La quiete dopo la tempesta dovrà attendere. Ancora non si sa quanto. Però dopo una torrida estate, che alla prova dei fatti si è rivelata meno massacrante del temuto, si intravede un autunno sempre caldo per l'euro ma più governabile e governato che in passato. Un biennio abbondante di "bollenti spiriti" sembra ora lasciare il passo a una gestione più pacata, razionale ed equilibrata della crisi.
Estremismi, dogmatismi, populismi non sono certo morti. E nemmeno la recessione economica e la disoccupazione che contribuiscono ampiamente ad alimentarli. In Germania la Bundesbank continua ad alzare la voce con tutti, Bce compresa, insieme a una parte del Bundestag, entrambi arroccati sulla più pura ortodossia.
Però il dibattito tedesco si sta facendo più articolato. Soprattutto Angela Merkel pare essersi convinta che, per lei e la sua riconferma alla Cancelleria, sarà meglio presentarsi alle elezioni del settembre 2013 con in tasca l'euro piuttosto che senza. Il collasso della moneta unica provocherebbe infatti uno shock dai costi enormi e, soprattutto, dalle conseguenze imprevedibili in Europa e fuori. Non ultima la reazione dell'America di Barak Obama alla ricerca di una difficile rielezione in novembre, che tutto auspica fuorché il marasma europeo e i suoi inevitabili contraccolpi negativi su un'economia americana che di sicuro non scoppia di salute.

Non c'è solo il cancelliere tedesco a convertirsi al pragmatismo. Persino il premier finlandese Jyrki Katainen, quello che ha preteso e ottenuto dalla Grecia garanzie bilaterali supplementari prima di sbloccare la sua quota di aiuti, ora parla di «una maggiore integrazione politica e non il contrario» per rafforzare l'euro. Il tutto mentre nell'altrettanto rigorista Olanda, il leader socialista Emile Roemer, probabile vincitore delle elezioni del 12 settembre, tuona contro l'austerità e promette la riduzione del deficit sotto il 3% non prima del 2015, cioè due anni dopo la scadenza del 2013 blindata negli impegni europei assunti dal Paese.
Boccata d'ossigeno in vista per i Paesi del club vessati da rigore e tagli di spesa, aggrediti dalla recessione?
No. Né Berlino e i suoi alleati del Nord né la Bce di Mario Draghi intendono allentare la morsa, ritenuta indispensabile per recuperare stabilità, coesione e credibilità dell'area. Però tutti ora sembrano pronti a fare i conti con la realtà e i costi iniqui della crisi che gravano su alcuni paesi, come l'Italia, a beneficio evidente di altri, come Germania, Olanda e Francia.

È in questo clima più realistico e costruttivo che ieri Jean-Claude Juncker, il presidente dell'Eurogruppo, è volato ad Atene per incontrare il premier Antonis Samaras che a sua volta sarà a Berlino e a Parigi tra venerdì e sabato. Mentre oggi sarà il turno, a Berlino, del tête à tête tra Angela Merkel e François Hollande.
«Non chiediamo più aiuti ma più tempo» per un paese prostrato da un quinquiennio di recessione, insiste Samaras. «Non possiamo continuare a gettare denaro in un pozzo senza fondo» replica Wolfgang Schäuble. E il suo cancelliere rincara dicendo che non sarebbe in grado di far passare al Bundestag un terzo piano di aiuti per la Grecia. Però il francese Hollande insiste per darle una mano. E Juncker manda a dire che comunque «non ci sarà nessuna decisione prima di ottobre».
Appurato, come sembra, che la cacciata di Atene è stata archiviata in nome della difesa dell'integrità dell'euro, prima o poi una soluzione sarà trovata. Come per la Spagna. Mentre le tensioni sull'Italia sembrano allentarsi.

Nulla però induce ancora ad abbassare la guardia. La malattia dell'euro è ancora tutta da guarire. Peggio. Per una fortuita e fortunata serie di circostanze, soprattutto politiche, la Francia non è finita nel lazzaretto mediterraneo ma soffre degli stessi sintomi. Che dovrà curare al più presto e in modo credibile per evitare che i mercati prima o poi non decidano di andare a vedere il bluff.
Per ora Hollande si è dimostrato un presidente evanescente. La debolezza sua e del suo Paese potrebbero farne un interlocutore impossibile nella partita per la cessione della sovranità nazionale sul bilancio, dell'Unione fiscale per dirla in gergo, cui la Germania condiziona la propria solidarietà finanziaria con l'eurozona. Cioè la sopravvivenza dell'euro.
Gli attuali spiragli di ragionevolezza che circolano in Europa promettono bene ma purtroppo non bastano a dissipare le tante incognite, a partire da quel tallone d'Achille francese, che continuano a tormentare il destino della moneta unica.

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