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Solo salvare le banche può salvare la Grecia

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credito e politica

Solo salvare le banche può salvare la Grecia

  • –di Marco Onado

Chi a Bruxelles o ad Atene ancora si illudeva di aver guadagnato qualche settimana di tempo per trovare una soluzione alla crisi greca, si è dovuto ricredere ieri, di fronte al crollo della Borsa, dopo cinque settimane di chiusura, che è stato ancora più grave per il settore bancario. Occorre agire subito e con strumenti radicali, cominciando proprio dalle banche, che sono in questo momento il punto più fragile della debole struttura economica ellenica e potenzialmente il maggior ostacolo ad ogni speranza di futura crescita.

Le banche greche si sono progressivamente indebolite in questa lunga e tragica crisi, anche se alla verifica di ottobre scorso erano ancora relativamente robuste. Ma hanno subito un progressivo deterioramento delle loro condizioni patrimoniali e di liquidità, sotto l'effetto congiunto di una emorragia di depositi e del continuo aumento dei prestiti di cattiva qualità, che a loro volta riflettono la gravità della recessione in corso. E nessuna banca, per quanto inizialmente solida, può resistere indefinitamente in questa tenaglia micidiale.

La Bce ha fornito assistenza per la liquidità (con un programma che non a caso si chiama di emergenza) fino al coraggioso aumento del 16 luglio, portando l’esposizione totale a circa 90 miliardi. Ma i dati più recenti delineano uno scenario ben più grave di quello di metà luglio almeno per due motivi. Primo, perché si è capito che un Paese con un clima da economia di guerra non può convivere più di qualche giorno in un'economia di mercato. Secondo, perché si è raggiunto il limite oltre il quale nessuna banca centrale può spingersi: quello della solvibilità delle banche assistite.

I controlli di capitale, la chiusura di banche e Borsa, i limiti ai prelievi in contanti erano necessari, ma solo per mancanza di soluzioni realmente incisive. Ma alla fine hanno inferto un ulteriore colpo all’economia, perché hanno impedito alle aziende di comprare materie prime all’estero, hanno paralizzato gli scambi e ulteriormente alimentato l’economia sommersa, in un Paese che è già riuscito a superare l’Italia nelle statistiche dell’evasione fiscale.

Per quanto riguarda le banche, il fatto nuovo non è la caduta dei prezzi delle azioni bancarie, ma la sua causa più diretta, cioè i dati resi noti ieri ad Atene che segnalano una caduta degli ordini e dell’occupazione manifatturiera senza precedenti nella storia di questi indici. La conseguenza sarà un ulteriore deterioramento della qualità dei prestiti, con conseguenti fosche previsioni sul patrimonio delle banche. Con riferimento ai bilanci 2013 (quindi in un momento migliore di oggi) uno studio del Bruegel stimava che per le banche greche i crediti di cattiva qualità superassero del 25 per cento circa la somma di capitale e fondi rischi. Non solo: oggi quasi la metà del capitale delle banche greche è a fronte di crediti verso l’erario per tasse anticipate. Su richiesta della Bce, il Governo si è impegnato a rimborsare anticipatamente questo credito in contanti e dunque si ritorna ancora alla casella di partenza di questo tragico gioco dell’oca della crisi greca. Già nel progetto di metà luglio si pensava di destinare circa 25 miliardi dell’intero pacchetto alla ricapitalizzazione delle banche greche, ma era ancora una volta una misura dettata dalla disperazione di non avere soluzioni alternative. Quella cifra è quasi uguale a quella del capitale di miglior qualità delle principali quattro banche greche: cioè un ammontare di capitale che a ottobre 2014 sembrava ancora adeguato.

È ovvio che il mercato non ha nessuna intenzione di sottoscrivere azioni ed è appunto questa la seconda causa del crollo di ieri delle azioni bancarie. Ma una nazionalizzazione di fatto delle banche, per di più grazie a fondi presi a prestito, appare un ulteriore modo per tamponare una falla che non accenna a chiudersi. L’unica alternativa oggi possibile appare quella di fare intervenire l’apposito fondo europeo, cioè l’European Stability Mechanism, non con l’ennesimo palliativo, cioè la concessione “in linea di principio” di un prestito, come definito nel pacchetto di luglio, ma con tutta la sua potenza di fuoco, vale a dire la procedura di risoluzione delle banche in crisi, che rappresenta un tassello importante della faticosa costruzione dell’Unione bancaria europea. Il principio fondamentale è che l’intervento di ristrutturazione del Fondo (se del caso accompagnato da ricapitalizzazione) è subordinato alla riduzione del debito delle banche, cioè al coinvolgimento dei creditori (obbligazionisti in relazione alla priorità dei loro diritti e depositanti non assicurati, cioè quelli oltre 100mila euro). Secondo stime recenti, ciò richiederebbe tagli anche consistenti, ma consentirebbe ancora di salvaguardare il debito delle banche per il credito di emergenza. Non si vede dunque perché si debba ulteriormente indugiare di fronte ad una situazione che dimostra che il debito greco (sia esso pubblico o privato) non è più sostenibile e che è finalmente tempo di applicare la disciplina di mercato anche alle banche. Non a caso, mentre negli Stati Uniti dall’inizio della crisi le procedure di questo tipo sono state quasi 500, in Europa sono state circa 50, cioè un ordine di grandezza di meno e tutte rigorosamente nazionali. Abbiamo finalmente uno strumento europeo e di mercato che può essere attivato per le banche in difficoltà (tecnicamente dal 1° gennaio prossimo, ma non è difficile trovare soluzioni-ponte: è una delle specialità delle cucine di Bruxelles). L’alternativa è quella di spostare la crisi un po’ più in là per vederla tornare al punto di partenza o anche più in basso.

Anche Sisifo appartiene alla mitologia greca.

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