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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2013 alle ore 16:00.
I risparmiatori potrebbero "egoisticamente" avere già nostalgia degli alti rendimenti pubblici. Quelli che lo Stato italiano era costretto a pagare, ai prestatori di denaro interni e stranieri, per mandare a segno le delicate aste dell'autunno 2011 e altre successive. C'è un interesse particolare (il rendimento del proprio investimento) che non può sorridere dell'indebolimento della credibilità Paese (che - non dimentichiamo - è poi il debitore).
Lo spread, "sentito dire" dal 98% degli italiani ma correttamente indicato solo dal 58% (come risulta da un sondaggio realizzato per Plus24 da IprMarketing nei giorni scorsi), sta concedendo una tregua che va misurata correttamente. Secondo Giovanni Ajassa, responsabile del Servizio studi Bnl, una "tregua" che potrà durare, e trasformarsi in qualcosa di ancora più solido e coerente». Intanto, prima ancora di un possibile taglio dei tassi in Europa, si sono rivalutati i titoli di Stato europei già in circolazione (che in questo scenario sono quindi da tenere), qua e là qualche risicato margine si trova ancora nelle emissioni di Paesi a spread calante. Più spazio per l'azionario e soprattutto il ridimensionamento dello Stato prendi-tutto che metteva fuori gioco altri investimenti.
Dove andrà lo spread? Il ragionamento di Ajassa è che "da un punto di vista tecnico ci sono condizioni relativamente favorevoli. Entro la fine di quest'anno i titoli pubblici in scadenza saranno cinquanta miliardi in meno di quelli che erano in scadenza nello stesso periodo dello scorso anno. E nel 2014 dovrà essere rinnovato un quarto del debito pubblico italiano contro la metà di quello, ben più ampio del nostro, giapponese. Tra il 2008 e l'autunno del 2012 la quota di Btp in mano agli stranieri è scesa dal 68 al 41 per cento. Sono convinto che l'interesse dell'estero tornerà presto a crescere, se sapremo rimettere in moto il Paese".
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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