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Questo articolo è stato pubblicato il 15 aprile 2012 alle ore 14:19.
L'ultima modifica è del 15 aprile 2012 alle ore 14:34.

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Lo scorso dicembre, con il sistema finanziario europeo sull'orlo della catastrofe, la Banca centrale europea ha sorpreso i mercati con un intervento senza precedenti, offrendo alle banche dei Paesi dell'euro liquidità sostanzialmente illimitata (in cambio di qualsivoglia garanzia) per un periodo eccezionale di tre anni.

L'operazione a sorpresa della Bce ha messo un freno alla crisi. Ma ora, dopo solo quattro mesi, la situazione sta di nuovo precipitando. I grandi Paesi dell'Europa meridionale, Spagna e Italia, scivolano in recessione sotto i colpi dell'austerity e il deterioramento dell'economia getta dubbi sulle stime di bilancio dei loro Governi, minando il supporto politico alle riforme strutturali e rilanciando interrogativi sulla stabilità dei sistemi bancari che sembravano risolti.
La zona euro sembra nuovamente sull'orlo del tracollo. Dobbiamo aspettarci un nuovo intervento della Bce?

Gli ostacoli a ulteriori interventi sul fronte della politica monetaria sono considerevoli, ma sono quasi esclusivamente ostacoli autoimposti. All'ultima riunione del consiglio direttivo la Bce ha lasciato il tasso di riferimento invariato, motivando la scelta con un'inflazione di mezzo punto percentuale sopra il target ufficiale del 2 per cento. I membri del consiglio erano preoccupati anche per i segnali di un'inflazione da costi in Germania: il principale sindacato tedesco, la IG Metall, ha chiesto un incremento salariale del 6,5% nella prossima tornata negoziale annuale e i lavoratori del settore pubblico tedesco a fine marzo hanno strappato un accordo che prevede aumenti salariali del 6,3% nei prossimi due anni.

Ma questo incremento del costo del lavoro in Germania è quello di cui l'Europa ha bisogno per accelerare il suo riequilibrio, perché contribuirà a riallineare le posizioni competitive delle economie del Nord e del Sud del continente. L'Europa meridionale deve diventare più competitiva e incrementare l'export, ed è stata criticata (non senza ragioni) per non essere riuscita a fare di più su questo fronte. Quello che conta sono i costi di produzione dei Paesi del Sud Europa rispetto ai costi di produzione della Germania, campione dell'export europeo. Ecco perché la prospettiva di un incremento del costo del lavoro in Germania, dopo un decennio di stagnazione, rappresenta uno dei pochi sviluppi positivi sullo scenario europeo, non certo qualcosa che la Bce debba cercare di contrastare.

Il fatto che un aumento degli stipendi in Germania sarà accompagnato da una diminuzione degli stipendi in tutti i Paesi del Sud Europa suggerisce che le pressioni inflazionistiche a livello continentale rimarranno sotto controllo. Con una disoccupazione che supera il 10% nell'Eurozona, è difficile pensare che possa essere diversamente. Il 2,6% di inflazione primaria a marzo è stato fortemente influenzato dall'impennata dei prezzi dell'energia, che dovrebbe avere effetti transitori (situazione mediorientale permettendo). Le stime della stessa Bce prevedono un calo dell'inflazione nella seconda metà del 2012 e di nuovo nel 2013: esistono margini di manovra sul fronte della politica monetaria.

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