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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2013 alle ore 13:05.

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Quelle favole (sbagliate) che si raccontano sull'economia

L'economia come scienza ha fallito perché non è stata capace di prevedere le crisi finanziarie, la finanza speculativa ha preso il sopravvento sull'economia reale, la globalizzazione ha portato più danni che benefici, l'uscita dall'euro e la svalutazione della moneta potrebbe essere una soluzione alla crisi, la politica monetaria può risolvere qualsiasi cosa. Sono solo alcune delle tante affermazioni che si sentono ripetere da anni e ad ogni latitudine. Affermazioni che a furia di sentirle tendono a diventare sempre più familiari e che alla fine si accettano come verità indiscutibili, anche se alla prova dei fatti sono nient'altro che "favole" raccontate da esperti o pseudo tali per nascondere verità più scomode. Questa, almeno, la tesi di fondo contenuta in "Favole & Numeri", l'ultimo lavoro di Alberto Bisin mandato in libreria da Egea. Tesi di fondo che si accompagna ad una denuncia altrettanto di fondo, ovvero che "la cattiva economia è come la cattiva medicina: può fare molto male, anzi peggio. In Italia, paese per certi versi unico, un'impostazione troppo umanistica sembra rendere la logica economica impossibile da comprendere e i dati inavvicinabili, lasciando troppo spazio a libere interpretazioni di concetti, politiche, istituzioni, meccanismi di mercato e di intervento statale. Fino, addirittura, a raccontare favole. E a darli i numeri, anziché interpretarli".

Secondo il docente della New York University - nonché editorialista di Repubblica e collaboratore di diverse testate online - troppo spesso cittadini poco inclini a far di conto non distinguono tra favole e modelli, tra dati e numeri. "E i risultati sono ormai sotto gli occhi di tutti: un paese in declino da vent'anni, sull'orlo della bancarotta e in crisi profonda da due". L'intento del volume è, dunque, quello di puntare i riflettori su questi temi spingendo i lettori ad analizzarli in modo analitico senza fermarsi all'apparenza o al consolidato senso comune.

L'autore sottopone a verifica logica una serie di favole "che si raccontano a chi ci vuol credere", che sono "senza sostegno alcuno nei modelli di teoria economica" e non reggono nemmeno alla prova banale del buonsenso. A titolo d'esempio cita già nell'introduzione la favola del fallimento dell'economia come scienza perché incapace di prevedere le crisi finanziarie. Nessuno - scrive il co-fondatore e animatore del blog noiseFromAmerica.org - si sogna di parlare di fallimento di scienze come la geologia o la medicina, per il fatto che i geologi non sono capaci di prevedere con esattezza i terremoti e che i medici propongono diagnosi e terapie diverse di fronte allo stesso caso.

Un'altra favola "smascherata" da Bisin è quella che racconta che la situazione economica dell'Italia sia il risultato di un certo numero di anni di liberismo economico: "Chiunque abbia guardato un grafico della spesa pubblica in Italia, o del carico fiscale, o dei sussidi alle grandi imprese (pubbliche, fintamente private come Poste o Ferrovie, e private) negli ultimi vent'anni…non può che vedere linee tendenzialmente crescenti".

Un'altra "favola" ancora riguarda il presunto danno causato ai paesi più poveri dalla globalizzazione: i numeri secondo l'autore direbbero il contrario - ovvero che proprio grazie alla globalizzazione le disuguaglianze si sono ridotte - e la prova del nove sarebbe costituita dal forte sviluppo di Cina, India e Brasile che ha consentito a una considerevole fetta di popolazione di quei Paesi di uscire dalla povertà.

Poi l'autore entra nel vivo e nei capitoli successivi si sofferma sulle favole e i numeri che danno il titolo al libro e che riguardano "mercato e prezzi", "banche", "stato e finanza", "lavoro produttività e welfare".

Una delle "favole" esaminate è quella che racconta come l'economia finanziaria abbia ormai preso il sopravvento sull'economia reale distruggendo la ricchezza che essa crea. Intanto, sostiene Bisin, la finanza non è un settore socialmente inutile che produce e scambia inutile carta a vantaggio di avidi e grassi banchieri. Che poi il sistema finanziario - con i derivati e gli strumenti "creativi" in genere - sia all'origine della crisi è evidente, ma è altrettanto evidente che un'economia di mercato non può farne a meno. Il problema semmai è come garantire la sua efficienza e come intervenire nel caso in cui esso si ammali come è successo nel 2008 con la crisi dei subprime. La stessa speculazione, spesso vista come l'origine di tutti i mali, in fondo secondo l'autore farebbe solo il suo mestiere: quello di investire in operazioni che portano guadagno e disinvestire dalle operazioni che portano perdite. Un mestiere tutto sommato utile, in quanto contribuisce a fare pulizia, spazzando via dal mercato pericolose inefficienze. Un ragionamento ineccepibile a livello accademico. Se non fosse che il controllo della speculazione è (quasi) sempre tardivo e gli effetti sull'economia mondiale sono sempre devastanti.

Il libro elenca poi le altre principali favole che si raccontano, nel nostro paese come nel resto del mondo: da quella della moneta filosofale (è possibile aumentare la spesa pubblica all'infinito finanziandola con la stampa di moneta senza mai correre il rischio di restare insolventi, insomma "per ogni problema economico reale c'è una soluzione monetaria") alla favola del modello superfisso (qualunque intervento di politica economica ha esclusivamente effetti redistributivi, null'altro si aggiusta nel sistema economico, né prezzi né quantità), da quella delle banche che non possono mai fallire e devono dunque essere salvate a tutti i costi dagli Stati (e dunque dai contribuenti) per evitare catastrofi a livello planetario, alla favola del "Dio mercato", che se lasciato libero di intervenire ex machina porterebbe efficienza e felicità al mondo intero sempre e comunque.

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