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Questo articolo è stato pubblicato il 06 dicembre 2011 alle ore 08:48.
L'ultima modifica è del 06 dicembre 2011 alle ore 08:49.

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Nelle due settimane e due giorni scarsi a disposizione questo Governo ha fatto probabilmente il massimo che poteva per disegnare una manovra che comunicasse al mercato un messaggio determinante per il futuro dell'Italia: le finanze pubbliche rimangono sotto controllo e il Governo ha l'intenzione di varare riforme in grado di toccare e migliorare importanti pilastri e istituzioni del Paese per fermarne il declino.

Le pensioni, la tassazione degli immobili, le altre misure che aumentano le entrate hanno determinato ieri una riduzione dello spread che suggerisce che la direzione presa è giusta. Molto, però, soprattutto sul versante della crescita, resta da fare.

In diretta tv, il presidente del Consiglio ha preannunciato una riforma del mercato del lavoro da qui a poco. Il ministro Passera ha cercato di spiegare le linee ispiratrici dei provvedimenti per lo sviluppo ma dalla sua esposizione sono emerse poche indicazioni concrete e nessuna di grande momento.

Molti si attendevano di più. Noi non ci aspettavamo che in 15 giorni si potessero disegnare complesse riforme per rilanciare il Paese.
Quelle richiedono più tempo, più analisi e più fantasia. Ma è da queste riforme, che fanno capo principalmente a Passera, che dipenderà da ultimo il successo riformatore di questo Governo. La manovra non può che essere solo il primo tempo di questa partita. Appena licenziata dal Parlamento, ci attendiamo l'inizio del secondo.

Riguardo alle misure approvate, la manovra contiene provvedimenti radicali. La reintroduzione dell'imposta sugli immobili, che oltre a produrre gettito e contribuire quindi al consolidamento finanziario, è pensata per dare autonomia fiscale ai comuni in un Paese che si avvia ad assumere una struttura federale. E che, associata alla revisione degli estimi catastali, va nella direzione di recuperare almeno una parte dell'evasione fiscale. La fusione dei tre principali istituti pensionistici in un singolo ente, con tutte le semplificazioni che ne conseguono, non ultimo la facilitazione della mobilità dal pubblico al privato e viceversa. Il disegno di un sistema pensionistico con un singolo principio di calcolo dei trattamenti - l'ammontare dei contributi versati nella carriera lavorativa.

L'equiparazione a regime delle pensioni di uomini e donne. Queste modifiche avranno effetti rilevanti per molti lavoratori. Il ministro Fornero dovrebbe impegnarsi a fare rapidamente quello che i suoi predecessori hanno finora accuratamente evitato per paura di deludere gli elettori: informare sistematicamente i lavoratori dell'entità della pensione di cui potranno beneficiare con adeguate simulazioni predisposte dal nuovo Inps. Una riforma pensionistica ha successo non solo se stabilizza i conti dell'ente previdenziale ma anche se i lavoratori destinatari della riforma risparmiano abbastanza per sopperire alle ridotte pensioni: per poterlo fare però devono sapere che pensione attendersi in futuro. Occorre dirglielo.

Pur nell'urgenza di raccogliere risorse che ne segna in parte la composizione squilibrata verso maggiori imposte piuttosto che risparmi di spesa, la manovra non si basa, contrariamente a quanto avvenuto tante volte nel passato in circostanze analoghe, sui condoni. Anzi il presidente Monti, li ha esplicitamente ripudiati. L'imposta, ancorché limitata, sui capitali scudati, fa qualcosa di più: mina per il futuro la credibilità di quello strumento, rendendolo così meno appetibile.

Come tanti ho seguito davanti alla televisione (privata, quella pubblica ha ignorato l'evento) con attenzione e passione - come non mi accadeva da tempo - la presentazione che il presidente Monti e i suoi ministri economici hanno fatto della manovra, una delle più difficili e delicate delle tantissime fatte dall'Italia. Non si può non rimarcare lo stile severo e competente, l'onestà intellettuale e l'assenza di propaganda, come deve essere per un uomo di Stato che giustifica davanti ai cittadini il senso dei provvedimenti che il suo Governo si appresta a prendere e di cui loro sono chiamati oggi a sopportarne i costi e domani, se quelle scelte come si spera daranno i loro frutti, saranno i beneficiari.

L'emozione, tradita dal pianto, del ministro Fornero è il segno che quei provvedimenti sono stati soppesati, i sacrifici richiesti dibattuti e non decisi a cuor leggero ma ponderando due mali: non generare abbastanza entrate per le casse dello Stato e rischiare di non conseguire il promesso pareggio di bilancio nel 2013, esponendo il Paese a rischio finanziario. Rendere più dura e incerta la vita di molti pensionati, di fronte a un provvedimento molto grave e ingiusto come la deindicizzazione di una parte cospicua delle pensioni al costo della vita. Grave perché viola il principio fondamentale che chi non può ricontrattare il suo reddito nominale deve essere protetto dal suo principale nemico: l'inflazione. Ingiusto, perché grava su persone con redditi risicati. Dei due mali il Governo, pressato dall'urgenza, ha ritenuto che evitare il primo fosse prioritario. È difficile mettere in dubbio la scelta. Rimane la gravità di quel provvedimento e mi sarebbe piaciuto sentire dal presidente Monti che tutte le alternative sono state esperite e solo la straordinarietà delle circostanze lo ha giustificato.

guiso@tin.it
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