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Questo articolo è stato pubblicato il 05 aprile 2012 alle ore 07:58.
L'ultima modifica è del 05 aprile 2012 alle ore 08:31.
Riportato a livelli quasi ragionevoli lo spread tra i rendimenti dei titoli di Stato italiani e tedeschi, le differenze tra le due economie non sono azzerate. Ne restano molte altre, a cui la volatilità dei mercati finanziari è meno sensibile, ma che nel lungo periodo sono determinanti per la crescita. Una di queste è il livello di capitale umano, indice delle capacità di un Paese di svilupparsi in modo sostenibile.
Tra gli indicatori del capitale umano c'è il livello di scolarizzazione. E il confronto con la Germania (ma non solo) dimostra che l'Italia «ha ampi margini di miglioramento», per usare le parole di Vittorio Grilli, il viceministro dell'Economia che nelle sue ultime uscite pubbliche ha snocciolato dati inediti dell'Ocse incrociandoli con i livelli di occupazione e disoccupazione e con la crescita del Pil dei principali Paesi.
Il confronto con la Germania è impietoso: in Italia (dati 2009) solo il 15% delle persone tra i 25 e i 64 anni è laureata contro il 26% della Germania. Il gap diventa ancora più ampio se si guarda più in basso: i diplomati sono poco meno del 40% contro il 59%, mentre le persone che hanno completato solo la scuola dell'obbligo sono quasi il 46 per cento (15% in Germania). La differenza si riverbera non solo sul numero degli occupati e dei disoccupati, ma anche sulla crescita. Non a caso per capitale umano l'Ocse si intende «le conoscenze, le abilità, le competenze e gli altri attributi degli individui che facilitano la creazione di benessere personale, sociale ed economico». Nel 2010 in Italia il Pil è cresciuto dell'1,5%, meno della metà del 3,6% della Germania. Nel 2011 le distanze si sono drammaticamente ampliate: +0,4% la crescita italiana e +3,2% quella tedesca.
Guardando poi ai posti di lavoro, in Germania la disoccupazione è in continuo calo: a febbraio era al 5,7%, in calo dal 6,3% di un anno prima. E per le donne era ancora più bassa, al 5,4%. In Italia, al contrario, i disoccupati a febbraio erano quasi tre punti e mezzo percentuali in più, il 9,3%, e quella femminile al 10,3 per cento. Prima della crisi, le parti erano capovolte: in Italia i disoccupati erano al 6% contro il 9% della Germania.
Lo schema si replica se si prende in considerazione il tasso di occupazione, per il quale lo "spread" ha superato i 15 punti percentuali (72,4% contro 57,8%) e peggiora ulteriormente se si guarda ai giovani. In Italia la disoccupazione giovanile (15-24 anni) ha quasi raggiunto il 32% mentre in Germania solo 8 giovani su cento sono senza lavoro.
Mettere le nuove generazioni in condizione di accedere al mercato del lavoro, ripete Grilli, è la «condizione necessaria per la crescita». Anzi, i giovani «devono essere i driver dell'economia». Queste considerazioni diventano ancora più rilevanti alla luce dell'impegno del Governo, e di Grilli in prima persona, nella spending review che dovrà avere precisione chirurgica nel colpire gli sprechi e la spesa improduttiva senza tagliare le voci che, invece, sono fattori di crescita. Anzi, nei limiti del possibile bisognerà aumentare le risorse per alzare il livello di capitale umano del Paese, partendo ancora una volta dal confronto con quello che fanno gli altri. In Italia, ci ricorda ogni anno l'Ocse, «la percentuale di Pil destinata all'istruzione è una delle più basse di tutti i Paesi dell'area».
Nel 2008 era il 4,8% del Pil contro una media del 6,1%, al 28esimo posto su 34 paesi. Germania e Giappone (dove la percentuale di coloro che si fermano alla scuola dell'obbligo è pari a zero) spendono come noi, ma raccolgono i frutti di quanto hanno investito nei 15 anni precedenti, quando il loro livello di spesa era costantemente più alto del nostro. Non solo. Mentre la spesa italiana si concentra sulla scuola primaria e secondaria, anche per il gioco di domanda e offerta, in Germania e in Giappone le risorse destinate alla formazione universitaria e post-universitaria sono nettamente maggiori.
Dunque non solo spread e non solo articolo 18. Per tornare a crescere l'Italia deve agire anche su altri fronti e uno è di sicuro la formazione del capitale umano.
Twitter:@chigiu
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