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L'Italia virtuosa batte la Spagna indebitata

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IL CONFRONTO ROMA-MADRID

L'Italia virtuosa batte la Spagna indebitata

La Commissione Europea comunicherà tra pochi giorni il rapporto sugli squilibri macroeconomici dei Paesi membri con riferimento al 2012. All'Italia, come da copione, verranno soprattutto contestate due colpe, che attireranno fatalmente l'attenzione dei media più dei molti indicatori positivi che il nostro Paese presenta. Tra questi ultimi, l'Italia vanta innanzitutto un deficit statale tra più contenuti ed un avanzo primario di bilancio tra i migliori al mondo, ma è anche tra i Paesi che rispettano il maggior numero degli 11 parametri chiave della Macroeconomic Imbalance Procedure (MIP), presentando in particolare una posizione finanziaria netta sull'estero più che sostenibile (in linea con quella della Francia e assai inferiore a quelle della Spagna, dei Paesi "periferici" e di molte nazioni dell'Europa Centro-Orientale), nonché un debito privato (di famiglie e imprese) che in rapporto al Pil è tra i più bassi in assoluto (in linea con quello tedesco).

Competitività. L'accusa all'Italia di essere poco competitiva rischia di essere grottesca, in quanto formulata senza tener conto della differenza fondamentale esistente tra i Paesi che, con riguardo alla bilancia commerciale con l'estero, sono in attivo (come l'Italia) e quelli in passivo (come la Francia o il Regno Unito).
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Infatti, nella MIP la competitività è misurata in base ad un solo indicatore, la variazione della quota di mercato nell'export mondiale rispetto a 5 anni prima. Secondo questo indice, l'Italia ha registrato tra il 2007 e il 2012 una diminuzione della sua quota di mercato del 23,8% ma anche la Germania ha accusato un calo del 13% (tendenza comune a quasi tutti i vecchi Paesi avanzati, per l'ascesa della Cina e altri Paesi emergenti). Possiamo da ciò concludere che l'Italia sia poco competitiva, visto che in Europa presenta la seconda più alta bilancia commerciale manifatturiera con l'estero dopo la Germania stessa?

Debito pubblico. Ancor più discutibile, e sempre meno aderente alla realtà odierna, è il voler continuare a parametrare il debito esclusivamente in base al Pil. Nell'80% dei casi, il rapporto debito/Pil rivela l'esistenza (o meno) di un debito pubblico troppo elevato. Ma nel restante 20% dei casi tale rapporto o sopravvaluta il reale livello di pericolosità del debito (come nel caso di Italia e Belgio) o lo sottovaluta (come nel caso della Spagna), non tenendo conto del fatto che l'equilibrio finanziario tra settore pubblico e privato non è dato dal rapporto debito/Pil, ma da quello tra debito pubblico e stock di ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Tale ricchezza in genere è correlata al Pil ed è di poco superiore al prodotto (Germania, Francia). Ma non sempre è così. In alcuni casi, la ricchezza è di molto superiore al Pil (Italia, Olanda, Belgio), mentre in altri casi è invece inferiore allo stesso, anche in misura considerevole (Grecia, Irlanda e Spagna).

Ricchezza privata. È sullo stock della ricchezza finanziaria netta delle famiglie che si fonda la solidità dei sistemi finanziari nazionali (banche e assicurazioni) e la loro capacità di sostenere gli acquisti di titoli di Stato da parte dei residenti. Disconoscere questo aspetto è un grave danno di immagine per l'Italia, con un immeritato impatto negativo sul nostro rating sovrano. Basti pensare che il debito pubblico italiano, in rapporto al Pil, nel 2012 è stato il secondo dell'Ue dopo quello greco, ma in realtà è solo il 14° se misurato in base alla ricchezza finanziaria netta delle famiglie (laddove Francia e Germania sono, rispettivamente, al 16° e 17° posto).

Debito/Pil e debito/ricchezza. Per capire come interagiscono tra loro queste grandezze, è interessante notare come il nostro debito pubblico, che in rapporto al Pil tra 2011 e 2012 è salito dal 120,7% al 127%, è invece sceso dal 73% al 71% in percentuale della ricchezza finanziaria netta delle famiglie. Al contrario, il debito spagnolo non solo è cresciuto dal 70,5% all'86% in rapporto al Pil ma anche dall'89,4% al 100,8% della ricchezza. Nel 2012 il debito pubblico italiano in rapporto alla ricchezza era solo di poco superiore a quelli di Francia e Germania, mentre quello spagnolo è cresciuto vertiginosamente dal 2007 al 2012 e continuerà ad aumentare nel 2013-14 mentre il nostro diminuirà.
Debito in valore assoluto. Inoltre, pochi sanno che dal terzo trimestre 2008 al secondo trimestre 2013 il debito pubblico italiano è, dopo il debito della Svezia, quello cresciuto di meno nell'Ue in termini monetari (+26% confrontato col +48% della Francia, +106% della Gran Bretagna e +135% della Spagna). Se lo misurassimo in soldi anziché in rapporto al Pil, scopriremmo che da quando è fallita la Lehman Brothers sino a metà 2012 l'aumento del debito italiano è stato in valore assoluto di 422 miliardi di euro: una cifra ragguardevole, ma solo la quinta nell'Ue dietro a Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania.

Debito estero. Va considerato che il debito italiano detenuto da non residenti era a fine 2012 pari a 698 miliardi di euro (cresciuto di soli 24 miliardi rispetto al 2008) contro i 1.022 miliardi della Francia (+297 miliardi) e i 1.145 miliardi della Germania (+345 miliardi). Evidentemente ad altri Paesi fa comodo che una grande nazione come l'Italia continui ad essere considerata un investimento a rischio. Essi possono così più facilmente attrarre capitali esteri verso i propri debiti pubblici, che, senza tali capitali, dovrebbero altrimenti essere finanziati dai residenti.
Rischio sovrano. Pochi sanno che la stessa Commissione Europea ha elaborato ben tre indici di rischio finanziario con cui misurare la sostenibilità dei Paesi nel breve e nel medio-lungo termine. In base all'indice S0 l'Italia presenta un basso rischio finanziario a breve, mentre a medio-lungo termine presenta un debole rischio medio secondo l'indicatore S1 (che indica lo sforzo fiscale necessario per ridurre il debito al 60% del Pil nel 2030) e addirittura il rischio più basso in assoluto secondo l'indice S2 (che tiene conto anche dei costi futuri legati all'invecchiamento e alle pensioni).
Conclusioni. Conoscere di più il nostro debito pubblico e compararlo più correttamente con quelli degli altri Paesi non significa sottovalutarlo. Serve però a renderci più consapevoli della reale situazione in cui ci troviamo e a permetterci di far valere meglio le nostre ragioni a Bruxelles, nelle sedi internazionali e con le agenzie di rating, che spesso ci penalizzano ben oltre il dovuto.

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