Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2014 alle ore 08:27.

My24

Passarono tutti il 1989 a cercare di far dimenticare come avevano cominciato l'anno. Antonello Fassari, Francesca Reggiani, Cinzia Leone: tutti quelli che negli anni successivi diventarono le icone del dandinismo, della satira che piace alla gente che piace, della Rai 3 di Guglielmi. Prima di essere quel pezzo di immaginario di riferimento, erano stati il film che raccontava impietosamente quel che ancora siamo, il film definitivo su Roma – la Roma del ristorante Il matriciano e dei metri quadri calpestabili a Collina Fleming, mica quella dei fenicotteri – nonché quello che i fratelli Vanzina ricordano come il loro unico insuccesso in sala, divenuto poi culto nei decenni: Le finte bionde.

Venticinque anni fa, Nanni Moretti presentava a Venezia Palombella rossa. Durante la conferenza stampa, spiegò come funziona il cinema civile: «Con l'argomento importante si vince sempre: ricattando il pubblico». Con i ricchi senza morale e senza riscatto, invece, al pubblico viene il sospetto che parli proprio di lui. E non con grande stima. L'anno prima Le finte bionde era stato un libro (Mondadori, appena ripubblicato in ebook), che all'autore Enrico Vanzina pareva poco cinematografico: «Erano storie molto snob». Sai che novità, viene da pensare: mentre i critici le liquidavano come commediacce commerciali, i fratelli Vanzina avevano inscenato per tutti gli anni Ottanta la più feroce critica della borghesia italiana (Vacanze di Natale, Via Montenapoleone, Yuppies). Con quell'approccio sprezzante tipico dei ben nati nei confronti degli arricchiti. La lotta di classe vista dal lato dell'offerta delle brioche.

C'è tutta la sprezzatura vanziniana nel dire, attraverso un personaggio che osserva una festa, quel che i relitti del bel mondo pensano vedendo certo generone romano: «Evviva, abbiamo tutta la crème di Vigna Clara!». C'è, in effetti, a rileggere quel piccolo libro scritto con una determinazione trumancapotiana ad alienarsi i salotti dei ricchi, una sfumatura di snobismo persino superiore alle abitudini vanziniane. L'esibizione – così ostentata da non essere neppure più volgare – di peluria scura, fatta per dimostrare che il proprio biondo non è naturale, viene chiosata da un autore sospiroso come non lo era neppure Susanna Agnelli in Vestivamo alla marinara, nostalgico come certi aristocratici decaduti: «Fu in quel momento che il mondo vagheggiato da Irene Brin cominciò a vacillare». Le brioche, appunto.

Al cinema, in quel trattato di sociologia dissimulato, sono rimasti i tic dei camerieri, coi loro «preferisce» invece di «vuole», e le pretese culturali della borghese che cerca di darsi un tono in libreria («Neruda, poeta brasiliano, c'ha due palle così: ha pure vinto l'Oscar!»). Ma mancano le chiose dell'autore: «La finta bionda ama chiedere il Pinot grigio perché s'illude di parlare straniero»; «Feste memorabili. Ci vanno tutti: col risultato che la padrona di casa si ritrova, spesso faccia a faccia con la sua parrucchiera di Bergamo o col suo salumaio di Monza»; e l'interrogativo irrisolto della vita culturale in un Paese in cui i successi sono immancabilmente liquidati come porcherie: «Come mai i best-seller non sono mai letti dai best-reader?».
Se quella che sullo schermo nel 1989 va in chiesa e prega per avere un cottage a Cortina e una villetta a Porto Rotondo è una negoziante o una ristoratrice, nel 2014 Enrico Vanzina dice che c'è stata una mutazione. La finta bionda non è più un genere di destra: «Ai Parioli votano tutte a sinistra, si vestono come se vivessero a Santa Monica, si danno un tono hippy-chic».

Quelle spalline e quelle cotonature non torneranno più, ma la scena in cui una finta bionda arriva alla cena d'un'altra e fa immediatamente il conto di quanto debba esserle costata la ristrutturazione dell'appartamento potrebbe essere di oggi. Carlo Vanzina, venticinque anni dopo, ancora non se n'è fatto una ragione: «Conosco persone che parlano solo di soldi», trasecola, probabilmente mentre qualcuno della servitù s'occupa di nascondere gli scontrini delle brioche.
Le finte bionde siamo noi, nessuno si senta offeso: «Spiegano come si dovrebbe governare il loro Paese di ladri. Ma evadono le tasse e il giorno delle elezioni spesso non votano, perché impegnate in un lungo weekend». Siamo noi quel funzionario Rai che chiede a Enrico Vanzina: «Perché non prova a scrivermi un Cent'anni di solitudine ambientato ad Ascoli? Sa, ho preso in mano la sede regionale Marche». Siamo tutti quei personaggi lì, usciti «da un romanzo di Chandler riscritto da Funari».

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi