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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2013 alle ore 06:46.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 11:07.

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In Italia servirebbe un ministero dell'Alimentazione: oggi le competenze che riguardano il nostro settore sono divise tra i ministeri delle Politiche agricole, dello Sviluppo economico e della Sanità. Un sistema frazionato che alla fine allunga i tempi e toglie incisività: la proposta è stata lanciata ieri - nel corso del "Forum food & made in Italy" nella sede de Il Sole 24 Ore - da Lisa Ferrarini, presidente dell'Assica, l'associazione dei produttori delle carni e dei salumi Ferrarini ha sottolineato che le Politiche agricole seguono le vicende legate all'agricoltura, il Mise le questioni legate alle etichette e la Sanità gli aspetti sanitari.

«Il nostro Paese però - ha detto - non è capace di fare sistema e questo ci espone, per esempio, all'Italian sounding o all'irrigidimento di vari governi: negli Stati Uniti abbiamo raggiunto il picco storico di 700mila prosciutti ma, all'improvviso, sono cambiati gli standard sanitari e ora siamo in analisi, con il blocco delle merci in dogana. Un forte disincentivo per l'export». Oggi siamo «costretti a esportare, ma ci mettano in condizioni di farlo». Poi sul tema del falso made in Italy, Ferrarini, che è presidente del comitato per la tutela del made in Italy di Confindustria, ha dichiarato che «le tesi di Coldiretti non hanno né capo né coda: la qualità delle materie prime importate è garantita al 100% da aziende che recano il nome della famiglia. Poi non capisco con quale autorità abbiano potuto accedere ai Tir in transito dal Brennero».

L'industria agro-alimentare italiana quest'anno fatturerà 133 miliardi con un export di circa 27 miliardi. «I volumi esportati – ha osservato Andrea Illy, presidente di Fondazione Altagamma – sono esigui rispetto alle potenzialità: il made in Italy è il terzo brand conosciuto nel mondo, dopo Coca cola e Visa. Ciò detto non saranno le semplificazioni doganali, le Dop o le Igp a risolvere i problemi: quelli vanno risolti nelle teste delle persone e lo devono fare le aziende con i loro prodotti».

Oscar Farinetti, guru di Eataly, ha proposto un marchio Italia, una mela tricolore e poi ha sottolineato «che la nostra non è la migliore cucina esistente ma è la più biodiversa». Vladimir Dukcevick, presidente del Consorzio del prosciutto San Daniele e titolare di King's, preferisce invece «il brand made in Italy e anche sui ministeri vorrei che quelli che abbiamo si occupassero di più e meglio dell'alimentare». Cauto sull'uso dei marchi Maurizio Zanella, presidente del Consorzio per la tutela del Franciacorta: «Il territorio è fondamentale per il successo dei prodotti. Se si lavora bene la denominazione copre il brand del produttore. Quindi meno etichette ma più chiarezza».

Sulla carne suina importata Dukcevick parla chiaro: «Per il prosciutto di Praga importo carne dalla Germania: costa meno e ha un rapporto grasso-magro giusto. Cambiare materia prima non darebbe gli stessi risultati. E comunque se ricorressi alla carne italiana dovrei alzare i prezzi: cosa inaccettabile per i consumatori». Ferrarini frena sull'etichetta d'origine: «La competenza spetta all'Europa e visto che abbiamo già tre procedure d'infrazione non insisterei. A parte questo, le imprese sostengono già il 30% in più della bolletta energetica e il 20% in più della logistica: eviterei anche un aumento del 20% dei costi dell'etichettatura».

Sulle fiere come elemento propulsivo del food italiano, Enrico Pazzali, ad di Fiera Milano, ha rammentato: «Siamo impegnati nel rafforzamento delle nostre piattaforme internazionali» partendo da eventi come Tuttofood e Host e «vorremmo completarle inserendo anche il vino, un prodotto globale. Sto cercando di convincere Giovanni Mantovani (dg di Veronafiere ndr) dell'opportunità di coinvolgerlo in un evento, guidato da Verona, per sfruttare al meglio le manifestazioni che teniamo in India, Cina, Sudafrica e Brasile». Mantovani ha risposto: «I tecnici sono al lavoro per verificare la sostenibilità di questa ipotesi. Noi però siamo già impegnati in grandi mercati con iniziative autonome. Vedremo». Sul fronte interno, Veronafiere ha in serbo un investimento milionario per Vinitaly 2014. «Dobbiamo vincere la sfida dell'incoming» sibila Mantovani.
Se gli approcci (ufficializzati dal neo sindaco Peter Feldmann) tra Fiera di Francoforte e Fiera Milano sono ormai sfumati, si rilancia il fidanzamento tra i tedeschi e Fiere di Parma, guidata dall'ad Antonio Cellie, con il doppio workshop 2014 "Fil rouge food & beverage", il link tra automazione industriale e confezionamento dell'alimentare.

http://emanuelescarci.blog.ilsole24ore.com/
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