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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2014 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:55.

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Alla fine di questa settimana si alzerà il sipario sulla riforma della pubblica amministrazione del governo Renzi. Sarà la quarta riforma degli ultimi vent'anni, all'interno di un ciclo aperto da Sabino Cassese e poi proseguito con i ministri Bassanini e Brunetta. I 44 punti annunciati nella lettera del premier e del ministro Madia fanno intravedere una strada ambiziosa. Il successo della procedura di consultazione pubblica attivata, con migliaia di segnalazioni e proposte ricevute, testimonia una grande aspettativa di cambiamento reale. La legittimazione politica del governo, conquistata grazie al risultato ottenuto nelle elezioni europee, rappresenta un'altra importante condizione per provare a cambiare davvero le cose, o meglio - come scritto da Matteo Renzi e Marianna Madia nella lettera ai dipendenti pubblici - per «fare sul serio».

Sarà, probabilmente, una riforma a doppia velocità. Alcuni provvedimenti di immediata applicazione daranno il segno di un cambiamento possibile e concreto, un disegno di legge delega di più ampio respiro getterà le basi della pubblica amministrazione del futuro. Sui primi si scateneranno presumibilmente reazioni contrastanti, legate al quadro degli interessi, differenti e particolari, in gioco. Ma è sul secondo che si ripongono le aspettative per un definitivo salto di qualità.
Sarà capace questo governo di mettere in campo una visione di ampio respiro e che detti una chiara linea strategica di trasformazione di apparati tanto radicati quanto resistenti al cambiamento? Questo si aspettano i cittadini e le imprese, ma questo attendono anche i dipendenti pubblici, almeno quello bravi e troppo spesso bistrattati.
L'auspicio è che si realizzi un deciso cambio di passo, sbloccando un settore prigioniero di tradizioni e interessi corporativi, liberando le energie migliori in esso operanti e rendendolo attrattivo per le migliori professionalità operanti nel mercato del lavoro.

Per fare questo e per dare credibilità alla riforma serve discontinuità, qualcosa che segni la fine di un'era e decreti l'inizio di un nuovo modo di pensare la pubblica amministrazione.
Da questo punto di vista ben venga l'enfasi posta dal governo sulle persone, è solo con queste che si cambiano le organizzazioni.
Si abbia però il coraggio di andare fino in fondo, decretando la fine del sistema di pubblico impiego. Tutele e garanzie che forse avevano senso in passato, male si conciliano, infatti, con i tempi moderni e il ruolo qualificato che dovrebbe giocare la pubblica amministrazione. Si privatizzi, quindi, nel concreto, il rapporto di impiego.
Si diano ai dipendenti pubblici gli stessi diritti e le stesse tutele di chi lavora in altri settori, così come si comincino finalmente a premiare le competenze e i meriti, piuttosto che la vicinanza politica o la normale diligenza.

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