Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 gennaio 2015 alle ore 07:25.
L'ultima modifica è del 08 gennaio 2015 alle ore 08:14.

My24

«Dieci, cento, mille 11 settembre!» è questo il primo pericolo con il quale dobbiamo fare i conti dopo l'assalto a colpi di kalashnikov al giornale satirico Charlie Hebdo, che ieri ha lasciato dodici morti per le strade di Parigi. L'eventualità di una polverizzazione di attentati letali è il vero incubo di investigatori e servizi di intelligence. Ancora una volta ci siamo scoperti tragicamente indifesi di fronte ad azioni poste in essere da piccolissime unità di terroristi, difficili da scovare proprio in virtù della loro dimensione e al probabile spontaneismo della loro azione, eppure in grado di infliggere danni tremendi al tessuto delle nostre società. Al di là dell'elevato numero di morti, infatti, per il target selezionato e per la brutalità impiegata, la strage di ieri è un attacco deliberato al nostro stile di vita, alle nostre “società aperte”, fondate sulla libertà di parola, sulla tolleranza e sul rispetto per ciò che è anche radicalmente diverso, che potrebbero finire coll'essere travolti da quest'ondata di odio fanatico e dalle reazioni che esso suscita.

Non c'è nulla che riveli maggiormente il tasso di libertà di una società della satira, soprattutto di quella priva di autocensura, dissacrante e politicamente scorretta di cui Charlie Hebdo è portabandiera. Ed è proprio nella possibilità di “scherzare con i santi” (per riprendere il vecchio adagio popolare) che oggi si misura la libertà di espressione, in un'epoca che, senza davvero prenderle troppo sul serio, ha trovato comodo o prudente collocare le religioni oltre la soglia di ciò che è lecito sbeffeggiare, persino nelle loro manifestazioni più fanatiche e radicali.

Episodi come quelli di ieri potrebbero ripetersi nei prossimi giorni, in Europa e non solo, e tutti insieme concorrono certamente ad alimentare un clima sempre più cupo, di diffidenza reciproca tra le tante anime che compongono le nostre società. Sarebbe bello potersela cavare con un bel sermoncino sulla tolleranza o con un discorso sulla natura “intrinsicamente pacifica” delle religioni. Peccato che il primo non serva a nulla e il secondo rappresenti un sostanziale falso storico. Per una tragica coincidenza ieri era anche il giorno della pubblicazione del romanzo di Michel Houellebecq, “Sottomissione”, nel quale si ipotizza un testa a testa tra il Fronte Nazionale e la Fratellanza Musulmana alle elezioni politiche del 2022. “Postfascisti” contro “fascisti islamici” – per usare due etichette che in maniera diversa sono state al centro di molte polemiche negli scorsi anni – e nel mezzo le nostre società attonite, scosse fin nelle fondamenta dallo spettacolo della morte in piazza. Fantapolitica? Di sicuro, eppure le manifestazioni tedesche dei “Patriottici europei contro l'islamizzazione dell'Occidente” inducono a riflettere sul rischio crescente del muro contro muro, del “noi” contro “loro”.

Ma noi chi? La tentazione di fare di tutta l'erba un fascio c'è eccome e oltre tutto non mancano i leader populisti pronti a soffiare sul fuoco della legittima paura che certi episodi inevitabilmente producono. Sarebbe un errore. Ma più delle parole, ancora una volta, contano i fatti concreti. Appena una manciata di giorni prima della strage di Parigi, in Bosnia Erzegovina, l'imam della cittadina di Trnovi, Selvedin Baganovic, è stato accoltellato selvaggiamente da fanatici islamisti. Era il settimo attentato di cui veniva fatto oggetto, a causa della sua “colpa”: predicare instancabilmente contro l'arruolamento dei giovani bosniaci da parte dello Stato Islamico. Concludeva tutti i suoi sermoni con lo stesso monito: «Quella in Siria e Iraq non è la nostra guerra», uno sbugiardamento inaccettabile per i falsi profeti del jihad globale.

Quando nelle prossime ore molti di noi potrebbero essere tentati dall'intolleranza verso i “barbuti col caftano” che sempre di più incontriamo nelle nostre città, cerchiamo di ricordarci che anche il coraggioso Selvedan Baganovic è un “barbuto col caftano”, che però predica un Islam tollerante e pacifico. E chiediamoci quanti del miliardo e trecento milioni di musulmani che popolano il pianeta si sentono rappresentati dai sicari di Parigi o dai tagliagole di al Baghdadi o, meglio ancora, proviamo a chiederlo direttamente a loro: e probabilmente scopriremo che, nella lotta contro il terrorismo islamista, proprio la gran parte dei musulmani sono i nostri migliori e naturali alleati.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi