Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2014 alle ore 06:50.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 14:16.

My24

In un mondo nel quale i membri dell'Unione Europea non si fossero auto imposti vincoli su disavanzo e debito, che politiche imposterebbe il governo Renzi? Potrebbe dare retta ai molti politici, sindacalisti, imprenditori, economisti che cercano le "risorse per lo sviluppo" solo nel bilancio pubblico, convinti che la crescita possa essere sempre e solo stimolata da un'iniezione di domanda.

È la cultura che, dalla seconda metà degli anni Sessanta a oggi, ha ispirato gran parte delle politiche economiche, pigramente volte all'ottenimento del facile consenso (con il dare senza tassare). Negli anni Ottanta questa politica portò il rapporto debito/Pil dal 57 al 98 per cento. Da allora, sino allo scoppio della crisi nel 2007-8, benché il costo dell'indebitamento sia stato il più basso nella storia d'Italia, il debito è cresciuto, tra alti e bassi, fino al 112,5 per cento del Pil. Sarebbe consigliabile, in un immaginario mondo privo del vincolo del 3 per cento, la ripresa delle storiche politiche di stimolo della domanda con spesa in disavanzo? A fronte di un modesto ed effimero aumento del reddito, crescerebbe ulteriormente il debito (palla al piede non solo della crescita ma anche delle politiche sociali e redistributive). Si affievolirebbe la determinazione ad affrontare i problemi che rendono l'Italia poco capace di competere, problemi sempre più intrattabili con il passare del tempo. Crescerebbero nei sottoscrittori del debito italiano (che non svanirebbero in assenza di vincoli Ue) e in chiunque consideri investimenti in Italia i dubbi, ancora vivi sotto traccia, sulla solvibilità a lungo termine del Paese.

Perché lo stimolo della domanda avrebbe effetti modesti? Come nota anche Manzocchi (Il Sole 24 Ore del 22 marzo), la crescita reddito potenziale dell'Italia (quello che si può ottenere occupando pienamente capitale e lavoro) è molto bassa, perché bassa è la crescita della produttività: tra il 2000 e il 2007, il prodotto per unità di lavoro è aumentato dello 0,2 per cento annuo. Negli stessi anni, il Pil è cresciuto in media dell'1,2 per cento (0,7 per cento per abitante): sono probabilmente questi i valori massimi ancora oggi ottenibili nel medio termine in assenza di un aumento della la produttività. L'Ocse prevede che il Pil italiano cresca dello 0,6 per cento nel 2014 e dell'1,4 per cento nel 2015: una botta di spesa in disavanzo aumenterebbe probabilmente ben poco il tasso di crescita già previsto per il 2015.

Anche in assenza di vincoli europei, il governo Renzi avrebbe un'alternativa alla spesa in disavanzo. Potrebbe dire agli italiani: «Avete sofferto per la crisi più grave dal 1861 a oggi e mi rendo ben conto dell'urgenza di un sollievo, vi chiedo però di non gettare al vento i sacrifici in cambio delle lenticchie di un'effimera fiammata di modesta crescita, piuttosto sostenetemi nel portare l'Italia su un sentiero di sviluppo più elevato per noi e i nostri figli». Se si desse da fare per sciogliere i "lacci e laccioli" dei quali parlò Guido Carli, per migliorare la giustizia civile, per la qualità della scuola e dell'università, per la ricerca, per rendere competitivi i mercati del lavoro e dei prodotti, per riqualificare la spesa pubblica diminuendola insieme con le imposte, se il governo facesse questo, le "risorse per la crescita" arriverebbero, molto più abbondanti di quelle che mai potrebbe venire dal pubblico erario. L'immagine del Paese cambierebbe e con essa l'atteggiamento di chi, italiano o straniero, ha capitali da investire. Successe proprio così alla fine dell'Ottocento (tra l'altro, la crescita ridusse drasticamente il peso del debito sul prodotto lordo).

Con l'immagine crescerebbe anche l'influenza sulla politica europea. Se nel nostro mondo ipotetico la Ue diventasse improvvisamente più virtuosa, il governo italiano potrebbe chiedere a Bruxelles e ai partner un impegno più convinto nell'aiutare la crescita, debole non solo nel Mediterraneo e in Slovenia ma anche in Francia e Paesi Bassi. Nemmeno nel Vecchio Continente l'aumento del reddito potenziale ha prospettive stellari: farlo crescere con cambiamenti strutturali "dal lato dell'offerta" (istituzioni, concorrenza, mercati, istruzione) dovrebbe essere il perno della politica di un'Unione virtuosa. A una tale Ue, il governo italiano avrebbe anche il dovere di chiedere politiche cicliche di sostegno alla domanda, politiche che debito elevato e bassa produttività precludono e sconsigliano all'Italia. Riconoscendo che non c'è virtù in cospicui avanzi strutturali nei conti con l'estero (in Germania pari all'8 per cento del Pil), a una Ue più virtuosa andrebbero chieste precise direttive perché i paesi in surplus adottassero aggressive politiche espansive. Ma questa virtù appartiene, per ora, a un mondo immaginario. Può, invece, non essere immaginario un mondo nel quale il nuovo governo liberi l'Italia dall'obsoleta monocultura della spesa in disavanzo e del "convincere" l'Europa a consentire "sforamenti": in questo il governo Renzi è un po' tentennante, forse per comprensibili motivi elettorali, ha però promesso interventi che, se realizzati, potranno a poco a poco innalzare il tetto troppo basso del nostro reddito potenziale. Va sostenuto in questo sforzo, incoraggiandolo al tempo stesso a muoversi come se la Ue non ponesse un vincolo al disavanzo: lo riduca comunque, nel nostro interesse, non per un obbligo esterno.
gt14@duke.edu

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi